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Catania: morto Salvatore La Fata, l’ambulante che si era dato fuoco

Catania, 30 settembre: dopo 10 giorni di atroci sofferenze è morto Salvatore La Fata. 

Disoccupato, ex lavoratore edile. Salvatore La Fata si era dato alle fiamme dopo il sequestro, perché senza autorizzazione, delle sue povere cassette di frutta messe in vendita per sopravvivere. La “torcia umana” saluta e se ne va… da questo nostro paese pieno di lavoratori disoccupati e disperati.

Che dire ancora? Serve il “silenzio” e la riflessione per costruire il riscatto. A sostegno una poesia del grande poeta siciliano Ignazio Buttita. Su un fatto vero successo a Marineo parecchi decenni addietro, in un nove aprile. Ieri come oggi, in Sicilia prevale la disperazione.

“U puzzu da morti”

Eramu a tavula sabutu a li tri tutti a manciari, li siciliani; cu picca e assai e bucali di vinu, cu acqua frisca e muccuna di pani; tutti a manciari, li scarsi e li ricchi, patruna grassi e puvureddi sicchi. Ma Cuncetta Lileci, cu du figghi, magri e patuti pi fami e pi stenti circava erba cu li picciriddi, circava erba e persi i sentimenti: non fu fuddia, non fu colpu di luna, u foddi quannu ammazza non ragiuna. Dicia idda e taliàva u puzzu: megghiu la morti ca sta vita amara. Dicia idda e taliàva i figghi; siddu l’ammazzu un sugnu macillara. Dicia idda; ci lelu la fami e non li viu chiànciri pu pani. Finui di dillu e affirò u primu, ci dissi: figghiu, chi malu distinu; e sull’istanti lu jsò ntall’aria e lu jttò nto puzzu a corpu chinu; po’ pigghia l’àutru, avia cinc’anni: pur unto puzzu, carni supra carni. Ristò tuttìocchi una vucca du puzzu, jsò li vrazza e si jttò pur’idda: vogghiu mòriri nzemmula, dicia, e l’abbrazava nmenzu l’acqua fridda; i quardiàva nta conca du pettu chìera di ossa e poi fu catalettu. A mariniu chianci u pupulinu, tuttu u paisi è na cella scura; e sonanu a martoriu li campani cà Diu pigghia parti a sta svintura; pari ca i morti, friddi comu a nivi, passanu nmezzu i morti e non c’è vivi. Sinnacu e giunta a l’accumpagnamentu, pàracu a dami di li caritati; manaci, preti e genti d’ogni cetu, tutti d’appressu afflitti e scunsulati; e nmenzu a chisti, ma senza un sugghiuzzu, i rei veri di morti nto puzzu. A mmariniu tri casci di mortu a tri fossi ntirrati cu tri cruci; ma ncchiusi nta ddi casci, figghi ematri gridanu contro nui ad àauta vuci: contro nui, scecchi addinucchiuni cu a sedda ncoddu e a zotta du patruni". 

In italiano:

Eravamo a tavola sabato alle tre tutti a mangiare, i siciliani; chi poco chi assai e boccali di vino, chi acqua fresca e bocconi di pane; tutti a mangiare, i poveri e i ricchi, padroni grassi e poveri secchi. Ma Concetta Sileci, con due figli, magri e patiti per fame e stenti cercava erba con i suoi bambini, cercava erba e perdette i sentimenti: non fu follia, non fu colpo di luna, il folle quando ammazza non ragiona. Lei diceva e guardava il pozzo: meglio la morte che questa vita amara: se li ammazzo non sono macellaio. Diceva: gli levo la fame; non li vedrò più piangere per il pane. Detto questo afferrò il primo, gli disse: figlio, che brutto destino; e sul istante lo alzò in aria e lo gettò nel pozzo con un colpo deciso; poi piglia l’altro, aveva cinque anni, anche lui nel pozzo, carne sopra carne. Restò tutt’occhi sulla bocca del pozzo, alzò le braccia e si buttò anche lei; voglio morire assieme, diceva, e li abbracciava in mezzo all’acqua fredda; li riscaldava nella conca del petto ch’era di ossa e poi fu cataletto. A Marineo lacrima il popolino, tutto il paese è una cella scura; suonano a martorio le campane perché Dio piglia parte alla sventura; pare che i morti, freddi come la neve, passino tra i morti e nessuno sia vivo. Sindaco e giunta all’accompagnamento, parroco e dame di carità; monaci, preti e gente di ogni ceto, tutti dietro afflitti e sconsolati; in mezzo questi, senza un singhiozzo, i colpevoli veri dei morti nel pozzo. A Marineo tre casse da morto e tre fosse interrate con tre croci; ma chiusi in quelle casse, figli e madre, gridano contro noi ad alta voce: contro noi, asini in ginocchioni, e addosso la sella e la frusta del padrone.

 

Commenti all'articolo

  • Di Kocis (---.---.---.147) 2 ottobre 2014 22:35

    IL FUNERALE DI SALVATORE LA FATA SI SVOLGERA’ DOMANI VENERDI ORE 16.00 CHIESA DEI CAPPUCCINI ( A RIDOSSO OSPEDALE V. EMANUELE)

  • Di Kocis (---.---.---.237) 3 ottobre 2014 23:00

    La chiesa ( sita in un luogo notoriamente abitato e frequentato dal “volgo”) era piena di tanto “umile popolo”. Parenti e amici ( tanti), cittadini indignati ( non molti), rappresentanti delle organizzazioni sindacali ( in piccola schiera). Le istituzioni, pare ovvio per il nostro “elefantiaco” sito, erano massicciamente rappresentati dall’ Arcivescovo. Evidentemente nei nostri luoghi non è ancora arrivata la “ rivoluzione ” civile e democratica…. Nella distinzione dei ruoli.

    Mancavano i rappresentanti ( da singoli o per strutture organizzate) di “ arti, mestieri ed armi”,  della media- alta borghesia, dei “censi” e professioni in generale, delle  intellettualità  “professori del verbo” - in cattedra o meno -.

    La tragedia, dall’alto della loro tranquilla sicumera (sicurezza) quotidiana, non tange. Non turba. Un “normale” incidente popolare. In continuità, quasi, della tradizione……. del “compari Turiddu”….la festa continua, allegramente.

    Una città ormai persa nella rappresentazione dei valori civici, etici e democratici. Della solidarietà umana e sociale, soppressa dalle classi ritornate prepotentemente in auge. In stile fine ottocento. Un bieco corporativismo sociale che ha frammentato i cittadini in decine di migliaia di pezzi. Disoccupazione, precariato, povertà, emarginazione……….gli azi sono esclusivamente di chi li ha!.

    Alla fine della funzione, una quindicina dietro un piccolo striscione. Si declamava lo sciopero generale come momento di ripresa della coesione sociale, richiedendo “ VERITA’ e GIUSTIZIA per SALVATORE LA FATA.

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