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Carceri: è tempo di agire!

Lunedì, quasi al termine dell'anno di Grazia 2011, Sua Santità, Benedetto XVI, ha fatto visita al carcere romano di Rebibbia; nel suo intervento, molto istruttivo, ha detto: “E’ importante… che i detenuti non scontino mai una doppia pena”. Correva l'anno del Signore 1860, quando, forte della sua esperienza nelle carceri di Sua Maestà lo Zar, il buon vecchio e attualissimo Dostoevskij, più o meno, scrisse: “Il livello di civiltà di una società può esser giudicato (dallo stato) delle sue prigioni!". Beh, Santità, meglio tardi che mai! L'interesse di questo governo, poi, segnala una sopraggiunta “umanità” nelle istituzioni, alla quale ci eravamo completamente disabituati, tra i ghigni della Brambilla e le scemenze della Gelmini unite alle grandi corbellerie esternate quotidianamente dagli ormai ex ministri e menestrelli del governo B.

Ci sono cose positive in questo governo, non amabilissimo tra l'altro, visti gli ultimi provvedimenti e per opinioni già espresse da me altrove, tuttavia, per il fatto che si stia interessando a questo problema spinoso, ma anche di intollerabile negligenza governativa, l'evento merita di esser preso in considerazione, e la cosa da parte nostra non sia affatto sottovalutata, come spesso succede.

È stata la neo ministra della Giustizia, Paola Severino, ad accogliere il Papa nella casa circondariale leggendo una lettera di un detenuto “cagliaritano” nella quale si faceva appello a quel lato umano dell'approccio con il detenuto, una persona che vive un mondo infernale che comunque - nei limiti del rapporto delitto-pena - merita di rivedere la luce della società, quanto di aspettarsi quella luce anche nel mondo torbido e ingiusto del sistema carcerario italiano.

Ha fatto bene papa Ratzinger a visitare il mondo dei reietti, proprio nel momento in cui il mondo “cristiano” si accinge a festeggiare il Natale. L'Italia ha una grande emergenza umanitaria, che non può esser in nessun modo tollerata. Infatti in carcere, spesso ci finiscono, non solo i criminali – cosa detta fino alla nausea - che hanno ricevuto la sentenza in giudicato, ma anche e soprattutto quelli che devono ricevere sentenza definitiva e quelli che subiscono la custodia cautelare.

Una custodia dove di “cautelare”, c'è ben poco, e soprattutto qualcosa di anticostituzionale giacché la Carta costituzionale sancisce all'articolo 27 che “... L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. In più lo stesso afferma: ...Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato...”.

C' è qualcosa di maledettamente sbagliato in questa situazione, e non sono io a dirlo, la sentenza la danno i numeri. Infatti, in Italia le carceri sono sovraffollate con una popolazione carceraria ospitabile di circa 45mila posti regolamentari, mentre i detenuti sfiorano quota 70mila. In alcune carceri i detenuti nelle celle sono più del doppio.

Con conseguente peggioramento delle condizioni detentive che vanno oltre l'umano, o meglio, rasentano la bestialità. La cosa che deve far paura non solo a chi ha familiari detenuti nelle carceri, nonché ai detenuti medesimi, ma a tutti i cittadini liberi del Bel Paese è questa: solo la metà della popolazione carceraria italiana è stata condannata con sentenza definitiva, mentre il resto è o in attesa di sentenza definitiva, quindi assolvibile, ergo, potenzialmente innocente. I numeri parlano chiaro: 40mila detenuti potrebbero essere “potenzialmente” solo di passaggio, perché sottoposti a custodia cautelare o in attesa di sentenza definitiva.

Un momento, ma la nostra grande Costituzione non dice che “ L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”? Questa cosa è quanto disgustosa, quanto oscena per la dignità di ognuno di noi; nulla da obbiettare quando il detenuto in custodia cautelare o altro sia il signor Provenzano o un “addetto al pizzo” di Aversa, inchiodato anche dalle telecamere mentre estorce danaro al malcapitato di turno, ma che dire di chi è accusato di un banale furto o di una “scemenza” solo sulla base di accuse vaghe ritenute dal G.I.P. di turno credibili?

Siamo qui alla fiera dell'assurdo; ogni cittadino si deve sentire a rischio di potenziali ingiustizie, e ne sa qualcosa chi è finito in galera per poi essere assolto per la semplice verità che “il fatto non sussiste”. C'è gente che in custodia cautelare o in attesa di giudizio ci passa degli anni, per poi essere rilasciata o assolta. Ma che schifo signori! E noi abbiamo tollerato che gente indegna si interessasse di cose sì serie, che hanno messo a rischio la libertà di tutti noi sulla base di supposizioni? O, addirittura, abbiamo tollerato che piccoli politici con moralità insignificante facessero passare “il reato di clandestinità”?

O tempora! O mores! Lo scopo del presente è quello di non far passare inosservata la visita nel noto carcere di Benedetto XVI, tardiva certo, ma apprezzabilissima, quanto l'interesse della signora ministra. L'opinione pubblica deve agire, non deve stare a guardare, si impegni e si ingegni non solo per il rispetto dell'art. 1, quanto anche dell'art 27, ossia il succitato. La condizione dei detenuti “italiani” potrebbe essere potenzialmente la nostra. Si badi e non si sonnecchi. Queste cose, così come altre delle quali abbiamo altrove parlato, siano le nostre priorità, lo richiede la nostra sicurezza quanto la dignità di noi tutti, oltre che il nostro grado di civiltà. A buon intenditor...

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.46) 20 dicembre 2011 19:56

    In Italia non c’e’ un numero abnorme di carcerati: ci sono troppi pochi carceri e troppo poche guardie carcerarie.

    Di delinquenti invece ne abbiamo molto piu’ che altri paesi, dove non ci sono mafie o non sono cosi’ potenti. Sarebbe sperabile che vadano in carcere, ma bisogna che i carceri ci siano, e invece i carceri piu’ sicuri, come Asinara e Pianosa, sono stati chiusi per compiacere i boss mafiosi.

    Quanto alla presunzione di innocenza, questa non dovrebbe valere per tre gradi di giudizio, sopratutto poi per i ricorsi in cassazione che dovrebbero avvenire soltanto in casi ristretti di interpretazione delle leggi. Purtroppo in Italia c’e’ un sistema premiale per chi fa ricorso: spesso si evita il carcere, molto spesso arriva la prescrizione, per cui molti ricorsi non servono per vincere in giudizio ma per arrivare alla prescrizione: sarebbe meglio eliminarla, dopo una prima sentenza. Ricordiamoci che nella maggior parte dei paesi non esiste.

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