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Cani: liste di “razze pericolose” e obbligo di museruola

Scientificamente non è mai stato dimostrato che ci siano razze più aggressive di altre. Eppure per detenere quelle considerate pericolose sono spesso previste limitazioni, diverse anche all'interno dell'Europa.

di Anna Romano

Sta facendo dibattere la bozza del “Regolamento per il benessere e la tutela degli animali” proposta del Comune di Milano e ancora in fase di discussione. Il Regolamento nella sua prima versione (resa disponibile qui da questo articolo di @anmvi Oggi) prevederebbe d’introdurre l’obbligo della museruola, anche all’interno delle aree cani, per alcune specifiche razze; nella versione originale, in particolare, si parla di dogo argentino, pitbull, rottweiler, american staffordshire terrier, bull terrier, cane corso e cane lupo cecoslovacco. Pur non utilizzando esplicitamente l’aggettivo – ed essendo ancora provvisoria e non approvata – la proposta chiama in causa una questione annosa e che ciclicamente fa discutere: quella delle razze “pericolose”. 

La gestione dei “cani pericolosi” in alcuni Paesi europei

Diversi Paesi europei hanno una lista di cani ritenuti pericolosi; nonostante alcune sovrapposizioni le liste variano da una nazione all’altra, così come le soluzioni gestionali previste. Nel Regno Unito, ad esempio, è vietata la detenzione di pit bull, tosa inu, dogo argentini e fila brasileiro, nonché incroci degli stessi. Chi detiene una di queste razze rischia multe illimitate e/o fino a sei mesi di detenzione. E non è necessario che il cane sia dichiarato appartenente a una di queste razze, basta che risponda alle caratteristiche morfologiche: è a carico del proprietario dimostrare che non lo è.

Per poter detenere un cane di una di queste razze è necessario farsi rilasciare un certificato d’esenzione dalla lista (a seguito di una valutazione comportamentale) valido per la durata della vita del cane; quest’ultimo dovrà poi essere sterilizzato, microchippato e tenuto in luoghi da cui non possa fuggire accidentalmente; inoltre dovrà essere sempre dotato di museruola e guinzaglio nelle aree pubbliche. Il proprietario è tenuto anche a fare un’assicurazione per eventuali lesioni che il cane può causare ad altre persone. 

Anche la Francia elenca alcune razze, o cani assimilabili, che sono classificate come pericolose. Per le razze riconosciute la detenzione è concessa solo ad alcune condizioni: il proprietario deve, fra le altre cose, essere maggiorenne e non gli devono essere stati sequestrati cani in precedenza. Inoltre, chi vuole tenere un cane appartenente a una delle razze classificate come pericolose (per la Francia sono staffordshire terrier, american staffordshire terrier, rottweiler o morfologicamente assimilabili e tosa inu) deve partecipare a una giornata di formazione e sottoporre il cane a una valutazione comportamentale, che dovrà essere periodicamente ripetuta se il cane è ritenuto in qualche modo pericoloso. Anche qui, i cani appartenenti a queste razze possono accedere a luoghi e trasporti pubblici solo se dotati di guinzaglio e museruola. Più severe le misure per i cani non iscritti a un libro genealogico ma assimilabili ai cani di razza, la cui vendita e acquisto è vietata dal 1999. Per questi cani è del tutto vietato l’accesso ai locali e ai trasporti pubblici, mentre in strada devono rigorosamente essere dotati di museruola e guinzaglio; è inoltre obbligatoria la sterilizzazione.

Nel 2017 anche l’Olanda aveva pubblicato un elenco di cani considerati “ad alto rischio”, i cui proprietari avrebbero avuto il permesso alla detenzione previo un apposito corso di formazione. La misura è stata al momento ritirata e il Ministero dell’agricoltura, della natura e della qualità degli alimenti olandese ha commissionato al Centro per la prevenzione del crimine e la sicurezza un’analisi per capire le origini del rischio delle morsicature (qui il documento in lingua olandese) e stabilire dunque le possibili soluzioni gestionali.

Cosa dice la legge italiana

«Complessivamente, la situazione europea non è uniforme. Ci possono anzi essere sostanziali differenze a causa delle autonomie nazionali: ad esempio, le norme variano nei diversi cantoni svizzeri», spiega a OggiScienza Chiara Mariti, veterinaria comportamentalista e ricercatrice all’Università di Pisa. «A ciò, bisogna aggiungere la considerazione che non tutti i Paesi hanno aree di sgambatura come le intendiamo noi: in Italia, la normativa sulla gestione del cane nell’area di sgambatura è ovviamente diversa da quella vigente sul resto del territorio, proprio perché si tratta di zone dedicate. In generale, comunque, il tema delle “razze pericolose” è molto dibattuto, in tutto il mondo, da oltre 15 anni».

Anche da noi è già emerso in passato: dal 2006 al 2009 è stata in vigore (riprendendo ordinanze precedenti) l’ordinanza del 12 dicembre 2006, “Tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione di cani”, che elencava 17 razze per le quali i proprietari (che dovevano essere maggiorenni e non aver commesso determinati tipi di reato) erano tenuti a stipulare una polizza assicurativa per i danni contro terzi.

«Dal punto di vista scientifico non esiste alcuna dimostrazione che una razza sia più aggressiva di un’altra. A oggi, infatti, l’Ordinanza in vigore non fa distinzioni di razza, ma impone a tutti i proprietari di portare con sé una museruola da applicare in caso di rischio o su richiesta delle autorità competenti», spiega Mariti. A tale norma di aggiunge quella della Polizia Veterinaria (DPR 8 febbraio 1954, numero 320, articolo 83) che impone l’obbligo di museruola per i cani non condotti al guinzaglio in vie o luoghi aperti al pubblico e l’obbligo di museruola e guinzaglio nei locali e nei mezzi di trasporti pubblici.

Laddove la normativa nazionale vigente non fa distinzione di razza – proprio perché non è scientificamente possibile classificare le razze a seconda dell’aggressività – la proposta di Regolamento milanese chiede invece che dogo argentino, pit bull, rottweiler, american staffordshire terrier, bull terrier, cane corso, cane lupo cecoslovacco e tutti gli incroci derivanti da queste razze siano dotati di museruola anche nelle aree a loro espressamente dedicate.

Il metro per la scelta di queste 7 razze? Stando alla relazione tecnico scientifica del garante in merito alla proposta di Regolamento (nella sua prima stesura), le razze sarebbero state selezionate a partire da quelle più presenti sul territorio milanese e con il maggior numero di morsicature segnalate (se siano morsicature più frequenti proprio per la maggior presenza di soggetti di quelle razze non è specificato) e sulla base di lamentele: «ovunque – si legge – i cittadini che frequentano le aree cani sono esasperati dalla presenza non controllata di cani di razze particolarmente aggressive/reattive». E così si spiegherebbe la scelta, definita “morbida ed educativa”, di inserire l’obbligo della museruola nelle aree dedicate ai cani ad alcune razze. 

Cani mordaci in Italia: alcuni studi

È difficile dare una definizione universale di “aggressività” quando si parla di cani. In un’indagine sull’aggressività canina nel centro-Nord Italia condotta da sei medici veterinari e pubblicata nel 2016 sulla rivista Veterinaria, si legge che l’aggressività «è un comportamento complesso, con uno sviluppo multifattoriale. Tutti i cani possono mostrare un atteggiamento aggressivo, ma la propensione a farlo può variare enormemente tra individui. In tal senso giocano un ruolo fondamentale la genetica, i fattori neurochimici, la componente ormonale (in particolare il testosterone), la socializzazione e l’apprendimento del cane. In particolar modo la serotonina (5-HT) pare implicata nella modulazione delle risposte comportamentali: è stato dimostrato che i cani aggressivi presentano concentrazioni inferiori di 5-HT circolante rispetto a quelli non aggressivi. Bisogna inoltre sottolineare il ruolo dell’apprendimento nello sviluppo e nel mantenimento del comportamento aggressivo».

Lo studio ha raccolto 9.231 denunce di aggressioni canine avvenute nel centro-Nord Italia nell’arco di sette anni, un campione che ha permesso ai ricercatori di indicare come, in quei casi, una maggior percentuale coinvolgeva cani maschi, adulti, appartenenti al gruppo dei meticci e ai gruppi 1 (cani da pastore e bovari) e 2 (cani di tipo pinscher e schnautzer, molossoidi e bovari svizzeri) dell’ENCI, ma i dati sono piuttosto incerti a causa delle enormi lacune nelle informazioni delle schede Asl, che per lo più non descrivevano l’accaduto e che quindi non ci consentono di capire il contesto. Su 9.231 schede meno di 5.000 riportavano età, sesso e razza del cane e quelle che indicavano la tipologia della vita (se familiare o estraneo, l’età e il sesso) solo 616. Quelle che segnalavano il tipo e la gravità della lesione? Nemmeno 1.900.

Su 9.231 schede raccolte, quelle complete e realmente utili erano 321. Piuttosto difficile, in questo modo, ottenere un quadro completo dei morsi di cane e dell’eventuale maggior pericolosità di alcune razze. Dall’esiguo campione risulta comunque che circa il 50% degli incidenti è avvenuto con cani meticci. Un’indagine precedente sembra aiutarci di più nel capire quali tipologie di cane hanno morso, nel corso di 11 anni. Si tratta di un’indagine sui cani mordaci in Italia, che considera i 662 casi documentati di morsicatura dal 1994 al 2004. In quel caso le razze che appaiono in almeno un caso sono 75.

Il fulcro della ricerca è stato verificare con metodo scientifico rigoroso da parte di quali razze canine si siano verificati con maggior frequenza casi di morsi nei confronti dell’uomo in Italia. Secondo gli autori «è stata compiuta in Italia, come nel resto d’Europa, un’opera diffamatoria nei confronti di alcune razze canine individuate dai legislatori come potenzialmente pericolose per l’incolumità pubblica. Queste razze sono state scelte fra quelle con maggiore prestanza fisica, tra quelle storicamente impiegate nelle lotte tra cani o tra cani di grande taglia da guardia e difesa. In seguito ad uno studio approfondito della bibliografia sull’argomento, appare evidente che queste scelte non sono state dettate da ricerche scientifiche o suffragate da studi documentali».

Naturalmente è probabile che le razze scelte dai legislatori milanesi abbiano come discriminante anche la potenza del morso, la mole e la dimensione della bocca (pur tenendo in mente che morsicatori di piccola taglia possono causare danni importanti a bambini, anziani o immunodepressi), ciò non toglie che l’indagine in questione, lavorando sui casi di morsicatura in rapporto alla numerosità delle varie razze di cani presenti sul territorio nazionale, ha potuto dar vita a una tabella in cui cani come il corso e il rottweiler non sono affatto in testa per morsicature.

Alcune delle razze più “diffamate” non sono affatto tra le più mordaci

Nella tabella delle 75 razze che sono state coinvolte nei 662 casi analizzati, i primi posti – togliendo i cani di piccola taglia – spettano, infatti, al bovaro dell’appenzel, all’hovawart, al maremmano, al beauceron, al rhodesian. Il lupo cecoslovacco appare appena al quindicesimo posto, rottweiler e american staffordshire terrier si trovano dopo il sessantesimo e il cane corso al settantunesimo posto, praticamente a fine classifica.

Le conclusioni di questa indagine – che, lo ricordiamo, ha il limite di essere piuttosto datata – sono abbastanza chiare: «Le differenze comportamentali tra diverse razze esistono sotto forma di “promesse genetiche”, ovvero di predisposizioni a manifestare certi comportamenti. I comportamenti aggressivi possono quindi essere in qualche maniera influenzati da queste diverse attitudini. La razza di appartenenza non deve essere però un parametro di discriminazione e neppure considerato il principale fattore di rischio di un soggetto.

Gli studi sul comportamento canino inteso come differenze di razza sono molto rari e quasi nulli quelli tesi a dimostrare se vi sia o meno una diversa predisposizione di razza a morderci. È quindi difficile per il legislatore avere delle informazioni utili per poter fare una legge inopinabile e di sicura efficacia. Non è poi dimostrabile che la decisione di creare vincoli e limitazioni solo per alcune razze sia utile ad abbassare il rischio di morsicature per la cittadinanza. Non disponiamo infatti di un registro o un consultorio unico a livello nazionale.

Sulla base di quanto fin qui esposto, l’approccio ai cani morsicatori dovrebbe essere più formativo che repressivo. Dovrebbe essere teso a formare una cultura cinofila che prevenga il fenomeno, più che intervenire sulle singole razze».

Particolarmente interessante è stato lo studio condotto nel 2015 con lo scopo di valutare gli effetti della legge italiana sulle razze e sui cani potenzialmente pericolosi (Ordinanza Sirchia del 9 settembre 2003 intitolata “Tutela dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi”, che precede l’Ordinanza del 2006) sull’andamento delle morsicature canine rivolte all’uomo nella città di Firenze. Il team ha raccolto i dati relativi alle morsicature di cani verso l’essere umano nella città di Firenze tra il 2002 e il 2005 per un totale di 556 casi, comparando le caratteristiche delle lesioni dei cani, dei proprietari e delle vittime coinvolte nell’anno precedente all’entrata in vigore dell’Ordinanza Sirchia e nei due anni successive all’emissione dell’ordinanza.

Questo il risultato, nella sintesi degli autori:«Le caratteristiche dei proprietari, delle persone lesionate e dei cani coinvolti negli episodi aggressive sono rimasti invariati, ad eccezione di una riduzione delle lesioni più lievi. Infine, dopo l’emissione dell’Ordinanza è aumentato il numero di proprietari di cani i cui dati anagrafici erano ignoti. I risultati della presente ricerca suggeriscono pertanto che le misure restrittive legislative riguardo ai cani potenzialmente pericolosi non sono efficaci nel controllo dell’aggressione di cani verso le persone». 

La parola all’etologo

Sulla versione della bozza del nuovo Regolamento milanese a nostra disposizione abbiamo voluto sentire l’opinione di Roberto Marchesini, etologo e studioso di scienze cognitive animali, fondatore della Scuola di Interazione Uomo Animale e che per primo ha sviluppato in Italia la ricerca in zooantropologia. «La norma che prevederebbe la museruola indossata anche nelle aree cani per alcune razze è una cosa semplicemente assurda, come pensare che questi cani siano dei killer di per sé, senza alcuna valutazione scientifica, rischiando così di far passare una vita d’inferno a questi cani per una questione puramente ideologica. Il punto fondamentale è che quando si fa un regolamento questo deve fondarsi su evidenze scientifiche, non su cose astratte, e a oggi tutta la ricerca dimostra che non esistono evidenze scientifiche che indichino che una certa tipologia di cani abbia una maggiore tendenza ad aggredire persone o altri cani. La prescrizione va bene, ma non si può imporre senza senso».

«La museruola – precisa Chiara Mariti – può senza dubbio essere limitante per un cane, ma questa non è, a mio avviso, una ragione per demonizzarla, come spesso avviene. Se imparata a usare correttamente è uno strumento utile in alcune situazioni, oltre che previsto dalla legge; il problema si pone quando il cane non è stato abituato correttamente e la vive come una costrizione. Tutti i cani dovrebbero saperla portare: ciò non significa che devono averla sempre addosso».

Anche Marchesini è aperto rispetto all’uso della museruola in situazioni specifiche per brevi tempi: «Se una persona va in un luogo pubblico molto affollato, come un mezzo pubblico, è giusto che porti con sé una museruola o che la faccia indossare al cane. Non mi spaventa l’uso della museruola in un determinato momento: il grosso problema è se portiamo il cane a non poter mai avere un rapporto libero con l’ambiente, ma lo costringiamo costantemente a indossare una determinata contenzione. E nel frattempo, così facendo, deresponsabilizziamo le persone: un regolamento così non andrebbe a punire i comportamenti sbagliati ma tutti in maniera random.

Questa bozza è basata su un approccio ideologico e demagogico che accontenta e accarezza una certa parte dell’opinione pubblica, ma senza cambiare né risolvere nulla. Quello che dobbiamo fare è aumentare il senso di responsabilità delle persone nella gestione del proprio cane. E questo è un aspetto che non sembra venir preso in considerazione da questo tipo di regolamento. Anzi pare rafforzare l’atteggiamento di stigmatizzazione di certe tipologie di cani e rischia di peggiorare il problema. Pensare che un rottweiler sia pericoloso solo in quanto rottweiler è un vero e proprio pregiudizio».


Questo articolo è stato scritto a quattro mani da Anna Romano e Sara Stulle, autrici per OggiScienza della rubrica “Domestici“. 

Fotografia: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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