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Calcio, tifosi divisi? Non è colpa dell’arbitro ma del nostro cervello

I ricercatori dell’Università di York, grazie alla risonanza magnetica, hanno scoperto come possano coesistere interpretazioni estremamente diverse della stessa partita di calcio.

di Giulia Negri

Partita di calcio. I tifosi della squadra A si lamentano dell’elevato numero di falli e delle evidenti scorrettezze dell’arbitro, che sta senza alcun dubbio favorendo la squadra B. I tifosi della squadra B indirizzano epiteti creativi all’arbitro e a buona parte della sua famiglia per gli stessi motivi. Come è possibile che stiano guardando la stessa partita?

Se lo sono chiesto anche i ricercatori dell’Università di York, che hanno provato a servirsi della risonanza magnetica per ottenere una risposta. Mappando e comparando l’attività cerebrale dei sostenitori del Manchester United e del Chelsea, mentre guardavano il proprio schieramento sfidare l’altro, hanno scoperto che le regioni del cervello coinvolte con il meccanismo della visione mostravano un’attività simile, mentre le aree dedicate alle funzioni cognitive presentavano grandi differenze tra i due gruppi.

Ovvero, le informazioni sensoriali possono essere interpretate e valutate in modo diverso.

Tim Andrews, professore del Dipartimento di Psicologia dell’Università di York, spiega: “Quando compariamo l’attività cerebrale dei tifosi della stessa squadra e di quelli di squadre rivali, vediamo che nelle regioni sensoriali del cervello è coerente per tutti i partecipanti – o, in altre parole, tutti vedono e ascoltano la stessa partita.

Ma nelle regioni frontali e sottocorticali del cervello – incluse le aree note per essere attive nel sistema di ricompensa, nell’autoconcetto e nel controllo del movimento – c’era una correlazione tra i tifosi della stessa squadra, ma differenze significative tra i due gruppi. Questo è ciò che permette a fan di squadre rivali di sviluppare una diversa interpretazione della stessa partita.”

Lo studio

Per lo studio i ricercatori hanno coinvolto alcuni accesi sostenitori del Chelsea e del Manchester United: i partecipanti dovevano aver tifato per quella squadra per una media di 15 anni e averli visti giocare almeno 25 volte. Mentre si trovavano all’interno di uno scanner per la risonanza magnetica, veniva loro mostrato un montaggio video con i momenti salienti delle partite tra le due squadre.

Una delle regioni del cervello che mostrava le differenze più grandi tra i due gruppi era il nucleus accumbens – un’area fondamentale per il sistema di ricompensa. Il team di ricerca suggerisce come questo collegamento tra il bias di gruppo* e la ricompensa possa spiegare la facilità e la rapidità con cui gli esseri umani formano gruppi e favoriscono chi fa parte della medesima cerchia.

La ricerca ha mostrato come siano coinvolte diverse parti del cervello nel produrre il bias di gruppo, e che questo riflette un’interazione tra una rete di regioni, piuttosto che un singolo meccanismo. “I risultati del nostro studio offrono una nuova prospettiva sulle basi neurali del bias di gruppo e della tendenza umana a provare conforto e rassicurazione quando si è parte di un insieme di persone, parallelamente alla mancanza di fiducia verso estranei e rivali”, ha aggiunto Andrews.

“Si ritiene che le aree cerebrali che mostravano le differenze maggiori tra le due schiere di tifosi – le regioni sottocorticali posizionate al centro del cervello – si siano conservate nel corso dell’evoluzione: questo supporta l’idea che la mentalità di gruppo possa riflettere uno degli istinti umani più primitivi.”

Ecco perché vediamo partite “diverse”

Dunque, per quanto ci sia qualcosa di primitivo in tutto ciò, è perfettamente normale avere visioni diverse della stessa partita di calcio (o, probabilmente, di qualsiasi altro sport). Tifate (arrabbiandovi) con moderazione…

*I bias cognitivi sono costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie. Il bias di gruppo è la tendenza a sopravvalutare le capacità della cerchia a cui si appartiene, considerandone il valore o i successi come il risultato delle qualità di chi ne fa parte. Al contrario, si tende a sottovalutare chi è in un gruppo estraneo, attribuendo i successi a fattori esterni, slegati dalle possibili capacità di chi vi appartiene.

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Questo articolo è stato pubblicato qui

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