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C’è un’Italia che cresce

Nell’Italia delle donne nuove arrivate non c’è posto solo per colf e badanti, ma anche per neo imprenditrici, in prevalenza nel settore commerciale e nei servizi. Stando ai dati, non c’è dubbio che anche alla donna, e per giunta a quella immigrata, sia riservato il compito di far risorgere il lungo, lento e silenzioso sviluppo della società italiana. In più, la sua integrazione favorirà sempre più l’affermazione di una compagine sociale veramente multietnica e soprattutto interculturale, sempre se un ipotetico futuro governo all'altezza e le parti sociali del Paese sapranno gestire al meglio questa nuova risorsa.

La notizia che sto per commentare l’ha data Repubblica qualche giorno fa. Infatti, l’articolo riporta che, nel Centro Italia quasi centomila donne straniere - in gran parte extracomunitarie - che non sono affatto impiegate come semplici colf e badanti, secondo l’Osservatorio sull’evoluzione dell’imprenditoria femminile di Confcommercio e Censis hanno dato vita a piccole aziende. Per dare dati precisi, le imprenditrici straniere nel nostro Paese sono 98.294. Tra esse spiccano per intraprendenza e numero le cinesi con il 16% circa. Seguono, distanziate di molto, le romene, le svizzere, le marocchine e le altre. La cosa che colpisce è che sono in crescita in tutti i settori, principalmente in quello dei servizi, ma l’altro fattore che ne evidenzia la vitalità e le potenzialità è la loro giovinezza rispetto alle italiane. Sempre secondo l’inchiesta, l’area più multietnica è il Centro Italia, con il 9,3% di imprese femminili guidate da straniere; le città metropolitane come nel caso di Milano e Roma sono tra le prime dieci. Quote significative sono anche attestate nel Nord-Est e nel Nord Ovest.

Questo vuol dire che, l’Italia, nonostante tutto, sta cambiando e che, se per un verso declina e una parte del suo ceto storico imprenditoriale e produttivo preferisce disimpegnarsi su altri fronti più redditizi, dopo aver fatto le proprie fortune e i propri patrimoni sul territorio nazionale, per un altro c’è un’Italia “diversa” che ce la mette tutta per emergere, per farsi strada, per impiantare la propria “legacy” in un mondo che fino a pochi anni fa risultava troppo ostile e forse anche saturo per essa.

Da tutto ciò emerge che, se da un lato il Bel Paese è un paese a forte invecchiamento, con ricambio generazionale stagnante, o al disotto dello zero, con standard di lavoro, sicurezza e tenore di vita che si sono pericolosamente abbassati, con il know-how giovanile che emigra - come mai prima nella storia del paese è avvenuto – dall’altro c’è appunto questa "nuova Italia" che “risorge” dalle sue ceneri: questa è l’Italia degli immigrati, delle gentes novae che sono arrivate dai paesi più disparati, e se indubbiamente aumentano le situazioni, anche negative, connesse a nuovi arrivi di gente disperata che deve trovare una collocazione o solamente una via di transito per altri luoghi,quando queste nuovi arrivati trovano la loro collocazione sul territorio e di conseguenza nel tessuto sociale, iniziano a fiorire attività, situazioni che per l’economia dell’intero paese stanno diventando vitali per una rinascita economica di una nazione che si vede defraudata dalle stesse aziende nazionali che hanno preferito altri paesi in cui impiantare le proprie attività produttive, togliendo lavoro ai cittadini italiani, sottraendo Pil allo Stato, togliendo al fisco nazionale pesanti introiti fiscali; tutto con la complicità di un governo che tutto ha fuor che amor di Patria. Bella mossa permettere al governo degli imprenditori di far nascere e portare avanti le politiche distruttive di una casta di cittadini interessati nel tirarsi fuori dal tessuto socio-economico per quanto riguarda la parte produttiva e contributiva, ma non di vendita e di profitto, giacché continuano a distribuire i loro prodotti in Italia, facendo enormi profitti. In tutto ciò lo Stato si è reso complice. Tuttavia, la storia insegna che, quando qualcuno abbandona un territorio, di solito altri vi si insediano, specialmente in un mondo dove i sostituti non mancano e dove ormai nessuno è indispensabile. È chiaro che questo ultimo aspetto, pur essendo positivo per quanto riguarda la macro e la micro economia della nazione, lascia aperta la domanda fino a che punto queste piccole aziende, alle quali ho accennato sopra, rispettino i diritti dei lavoratori, le regole contrattuali, gli orari e le norme di sicurezza. È ormai chiaro che in questo tipo d’Italia gli standard si sono abbassati, e non tutto ha aspetti positivi. A ciò bisognerà porvi rimedio, se non si vuole che una certa Italia torni a situazioni precedenti la II Guerra Mondiale.

Starà ad un futuro governo veramente capace stabilire regole e riforme per non svilire e demotivare questo nuovo impulso che, se sarà gestito bene, nel prossimo futuro potrà contribuire per parte sua a rilanciare l’economia del Paese; in più, c’è anche bisogno di nuove politiche sindacali che riescano a trovare nuove soluzioni e nuovi slanci per far sì che queste nuove realtà non creino mondi paralleli di nuovi servi della gleba. Aspetto che è già presente in alcune realtà della comunità cinese, come accade palesemente nella zona di Prato.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.124) 13 giugno 2011 19:56

    Зconti >

    Tremonti “ha le idee chiare” e ci chiede di “trovargli 80 miliardi” per fare una “vera” riforma fiscale.
    Con 80 miliardi si può riequilibrare il bilancio e destinare i restanti 40 ad interventi concreti e “apprezzabili” da famiglie ed imprese.
    Dove cercare?
    L’evasione fiscale, la corruzione e gli sprechi della spesa pubblica valgono circa 290 miliardi di euro l’anno. Le “grandi ricchezze” e le “transazioni” da speculazione finanziaria sono serbatoi in grado di dare un gettito di almeno 20 miliardi l’anno.

    Tremonti afferma anche che “tenere i conti in ordine non è ragioneria”.
    A cosa son serviti i 235 miliardi di crescita del Debito accumulati dal 2008?

    Governare l’economia non è esercizio da Dossier Arroganza

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