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Buttarla in caciara statistica: dati Istat e disoccupazione

Pare che a dicembre il mercato italiano del lavoro abbia dato segni di vigore. Cose c’è di sbagliato in questa frase? Una cosa: che un dato non fa una tendenza. Pare dovremo attendere ancora a lungo, prima che questo concetto riesca ad entrare in testa al nostro premier, però.

I dati, pubblicati ieri da Istat, sono piuttosto buoni. Aumento mensile di occupati di 93.000 unità, torniamo ai livelli di settembre. Su base annua abbiamo una crescita di 109.000 unità, il numero di disoccupati cala in un mese di 109.000 unità. Aumenta lievemente (28.000 unità mensili) il numero degli inattivi. Dove il miglioramento appare posticcio è tra i giovani tra 15 e 24 anni, la cui disoccupazione cala di un punto percentuale, pari a 33.000 unità, ma a fronte di un aumento di inattivi per 37.000 persone.

Ma, al netto di tutto ciò, ed anche per evitare che qualcuno tra voi lettori se ne esca dicendo “ma che ci frega di ‘ste cose?”, resta il punto di fondo. Un singolo dato non fa una tendenza, e sinora abbiamo visto che la variazione mensile del numero di occupati nel 2014 è risultata molto volatile e statisticamente rumorosa. Ciò detto, bene rallegrarsi del singolo dato, pur con il caveat di cui sopra. Dire che “siamo solo all’inizio“, pur se compatibile col fatto che disponiamo di un solo dato, non ha molto senso, al netto della propaganda. Ora, il contatore si resetta: dopo averla finalmente piantata con la leggenda dei 150.000 posti di lavoro creati dal suo governo, ora Renzi riparte da centomila, e ce n’est qu’un début, anche per i suoi cocoriti e scimmiette da talk televisivo. E non vi chiederemo di fare confronti su scala europea, non vorremmo confondervi. Viva la monade.

Più interessante (e divertente) sarà ora leggere le agenzie ed i tweet di tutti i corifei che, il mese scorso, dopo la seconda pesante flessione mensile consecutiva, avevano già trovato la spiegazione negli effetti di “tappo” del Jobs Act, in attesa della pubblicazione dei decreti attuativi, che spingeranno gli imprenditori a fiondarsi ad assumere, con la stessa foga con cui nei paesi anglosassoni la gente si calpesta all’apertura dei saldi (che saldi non sono, ma il concetto è quello). Hanno già cominciato in Veneto, si direbbe, dove sono tutti in trepida attesa del boom di assunzioni, anche se saranno soprattutto stabilizzazioni, ma sono dettagli. Per il momento, menzione d’onore a questo lancio Ansa di stamane. Era ancora presto, forse chi lo ha realizzato non aveva ancora preso il caffè:

“Centomila posti di lavoro in più in un mese. Bene. Ma siamo solo all’inizio. Riporteremo l’Italia a crescere #lavoltabuona”. Così Matteo Renzi con un tweet commenta gli effetti del Jobs Act

“Gli effetti del Jobs Act”? In che senso? Ma sul gradino più alto del podio va inequivocabilmente lei, Alessia Rotta, componente della segreteria nazionale del Pd, già nota alle cronache della dichiarazia per l’implacabile tempismo con cui lancia agenzie oltre l’ostacolo quando i dati sono buoni, per poi chiudersi in un dignitoso silenzio quando le cose vanno meno bene:

«Avanti così e il jobs act non è ancora pienamente operativo. I dati dell’Istat confermano la generale spinta alla ripresa della nostra economia già evidenziata da Bankitalia e Csc. Il lavoro riparte grazie anche alle riforme del Governo, che fanno parte di precise scelte politiche ed economiche per superare la crisi e agganciare la ripresa. A dispetto di quanti hanno fatto finta o non hanno voluto vedere il disegno complessivo questi sono passi importanti per il rilancio di un grande Paese che ha però l’obbligo di non cullarsi sugli allori ma di spingere con decisione sull’acceleratore delle riforme» (Ansa)

E’ bello vivere in un paese in cui l’analfabetismo economico, finanziario e statistico consente di moltiplicare le narrative a proprio piacimento. Il tutto senza sottolineare il catalizzatore dell’affabulazione: il servilismo verso il potere. Senza quello, l’ignoranza non porta molto lontano.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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