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Bulli e Pupe

Alle elementari la mia maestra picchiava duro, scappellotti, stintignate, punizioni dietro la lavagna, note sul quaderno da far firmare ai genitori. Mia madre leggeva e firmava. Ma dopo…. prima mi ripassava ben bene.

Non solo mia madre ma nessun genitore si permetteva di sindacare o contestare l’operato del maestro o del professore. La colpa del brutto voto, del cattivo comportamento, era sempre riferita all’alunno. Che ne subiva le pesanti conseguenze, a scuola e a casa.
Alle medie e al liceo ho subito i miei atti di bullismo, un bullismo minore, quasi amichevole. Non più di tanto come usava a quel tempo. Qualcuno un po’ di più ma mai con violenza fisica, con segni sul corpo. Qualche pianto, qualche piagnisteo, qualche fuga quando serviva. Era la modalità con cui i ragazzi cercavano di acquistare fiducia in sé stessi, esibendo la loro forza sul più debole, il più piccolo, il più gracile, il più indifeso. Non si superava mai un certo limite, un limite accettato da tutti, anche dai più prepotenti. Era l’educazione che avevamo ricevuto a casa che non ci permetteva di eccedere. Non c’erano ricoveri in psichiatria, tentativi di farsi del male, depressioni reattive. Non c’era la Rete per dimostrare a tutti, ma specie ai nostri amici, quanto siamo bravi, forti, quanto siamo capaci di essere superiori e indipendenti dagli altri e bravi a contrastare l’autoritarismo dei professori.
Oggi credo che manchi fondamentalmente la famiglia come strumento capace di fornire un limite. Genitori spesso assenti, giustificati per lavoro o ingiustificati per molto altro, incapaci di fornire regole efficaci, ignavi nel cercare un rapporto e stabilire un contatto con i propri figli che superi la partita di calcio, la benzina per il motorino o l’auto, peril rientro serale (o mattutino).
Genitori assenti ma subito presenti quando il fanciullo sembra subire un sopruso: una nota negativa, un brutto voto, un’uscita dalla partita prima del tempo, una ramanzina dal professore che può turbare il delicato equilibrio emotivo del pargolo che da quel momento è triste, non gioca più ore, come prima, alla playstation, manda oscuri messaggi agli amici mai considerandosi l’artefice primo della nota o della punizione, ma sempre attribuendo la colpa agli altri. Al professore che lo ha preso di mira, all’allenatore che non capisce niente e non riconosce i sui straordinari meriti sportivi. Opinione, questa del valore del calciatore, suffragata dall’ineccepibile giudizio del genitore e dello zio materno, che lo seguono nella sua difficile ma ineluttabile scalata ai vertici della serie A!


La colpa quindi sempre degli altri come, se vogliamo fare una chiosa politica, il mancato riconoscimento del grande lavoro fatto per il Paese dal segretario del Partito Democratico che i cittadini non hanno compreso.
Questa assenza educativa porta ad una mancanza di rispetto dell’autorità che travalica la famiglia e si riversa sulla scuola, dove si adotta lo stesso comportamento del nucleo familiare, dove le regole si accettano di malavoglia (quando lo si fa), dove ogni imposizione sembra un sopruso, dove si è costretti a fare una cosa di cui non ci importa nulla e che probabilmente non porterà da nessuna parte.
Gli insegnanti, spesso indicati a dito come dei privilegiati per la vecchia storia delle ferie estive, in alcuni casi appaiono come degli eroi messi a combattere (per non molti soldi) contro una masnada di piccoli delinquenti. Alcuni subiscono e tacciono considerando la battaglia ormai perduta ed aspettando con sollievo la pensione. Altri si mettono in malattia per lo stress emotivo e tirano avanti alla meglio. Altri invece si ribellano e mettono le note, segnalano al preside, chiedono provvedimenti. Che spesso non arrivano perché la colpa potrebbe essere ritorta sul professore che non ha autorità, che non li sa tenete, che non sa fare il suo dovere di insegnate.
E in qualche caso è pur vero. L’insegnante è un mestiere difficile e non può mai essere una professione scelta per ripiego. Ci vuole grande passione, tenacia, e soprattutto impegnarsi per ottenere quel rispetto come persona che si è smarrito da tempo ormai nella semplice figura dell’autorità dell’insegnante. Il suo obbiettivo, prima della propria materia, dovrebbe essere quella di ottenere rispetto come persona, affinchè l’alunno si confronti non con l’autorità della classe, stabilita per gerarchia imposta, ma con un adulto da prendere come modello per il suo comportamento futuro. Non è una cosa facile di questi tempi, anzi credo sia molto difficile, ma credo che sia una cosa fondamentale per stabilire un minimo di rapporto personale insegnante-alunno. Naturalmente si parla di alunni normali, quelli problematici sfuggono naturalmente anche a questo approccio.
Poi come dice un’insegnante “è difficile insegnare ad amare il bello, quando si fa lezione in aule fatiscenti, con il soffitto che rischia di venirti addosso”. Anche questo è un problema, la mancanza di risorse per rendere gradevoli i luoghi dove si insegna e si lavora. Si potrebbe riferire anche alla scuola la famosa “regola dei vetri rotti” a dimostrazione di quanto l’ambiente possa condizionare il comportamento dei singoli. Parlo ancora di ragazzi normali, i delinquenti sono un’altra cosa.
Siamo quindi in grande ritardo e la scuola dovrebbe essere la prima palestra dei nostri giovani. Se non vi trovano un ambiente fisico gradevole, se non vi imparano regole e rispetto, la scuola dell’obbligo perde molto della sua importanza sociale. Quella della preparazione professionale, secondo le statistiche internazionali, è già in gran parte perduta.

 

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