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Brexit e banche: niente bail-in, siamo italiani. Sappiamo fallire da soli

Sui giornali italiani di ieri ci sono tracce di quello che dovrebbe essere il “piano B” del governo italiano per mettere in sicurezza le nostre banche, pesantemente colpite dall’esplosione di avversione al rischio causata dalla Brexit.

A dirla tutta, dagli articoli non emergono dettagli operativi ma solo proclami e buone intenzioni, in quella che sembra un “whatever it takes” coi fichi secchi, visto che le risorse non sembrano esserci. Ma l’occasione è propizia per indurre alcuni nostri esponenti politici a reiterare quello che dallo scorso 22 novembre chiedono a gran voce, in quello che sembra il remake del claim di Alien: “è inutile chiedere di sospendere il bail-in, nello spazio nessuno può sentirvi”.

Non sono serviti decine di editoriali di patriottico sdegno, a dire che i mercati non capiscono, che le nostre banche sono solide, che le loro sofferenze sono sovra-garantite a livello reale, che abbiamo un’enorme ricchezza privata, che “tedeschi e francesi sono pieni di derivati, maestra!”. Niente, il mercato non ci dà credito. Ma di quali “misure straordinarie” parliamo, per difendere le nostre banche? Mistero. In realtà, neppure troppo: il problema resta sempre il valore di realizzo delle sofferenze, che viene scontato in modo brutale dai mercati. Avete un bel passare il tempo dicendo che “serve tempo, giù le mani dalle nostre sofferenze, maledetti avvoltoi”, né nell’immediato pare servire la modifica delle norme sull’escussione delle garanzie, soprattutto perché non retroattiva.

Ma che c’entra il bail-in? Non è dato sapere. Il bail-in scatta quando una banca è in dissesto, e prima di ricapitalizzazioni che possono avvenire anche con soldi pubblici, purché “a condizioni di mercato”. Per avere le quali serve che la condizione di dissesto della banca venga riconosciuta e certificata, attraverso la prima fase dell’abbattimento di passività “per almeno l’8% del totale”. E si torna al via. In alternativa, si fanno aumenti di capitale. Dire, come fa ad esempio il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, che serve sospendere la norma sul bail-in, vuol dire che “qualcuno” deve prendersi in carico il costo del dissesto della banca. Deve essere lo stato, con aumento di capitale riservato? Basta dirlo. In quel caso, il valore economico distrutto con l’intervento viene a ricadere sui contribuenti, in un momento differito.

Oppure deve essere una “coalizione di volenterosi”, del settore privato, cioè altre banche? Anche qui, la distruzione di valore finisce in testa alla collettività attraverso l’aumentato rischio di dover salvare le banche salvatrici. Che altro si può fare? Si potrebbe ricorrere ai Monti bond ma il loro tasso, praticamente usurario, finirebbe ad affondare il conto economico delle banche “beneficiarie”, che dovrebbero quindi essere successivamente salvate attraverso la conversione in azioni dell’interesse sul prestito statale. E si torna al via. Il discorso è diverso se, preliminarmente all’aumento di capitale, si svalutassero le sofferenze a livelli più realistici, e la si piantasse di dire che “il mercato non ci capisce”. Da qualunque angolazione la si guardi, la frase “sospendiamo il bail-in” è l’equivalente della rottura del termometro per evitare di leggere a quanto è arrivata la febbre, e sarebbe solo il rinvio della resa dei conti. A fronte di un’illusoria neutralizzazione di conseguenze sistemiche nel breve termine (giusto quella mezz’ora), la contropartita sarebbe un’estensione del contagio alle parti sane del sistema. Se poi arrivate ad argomentare come Boccia, che postula la sospensione del bail-in come modo per “tranquillizzare” i mercati, significa che avete capito assai poco: i mercati, in uno scenario del genere, sconterebbero l’effetto sistemico della decisione e finirebbero col mitragliare il paese con accresciuto impegno. Se invece siete tra quanti minacciano di sospendere il bail-in per fare la faccia feroce con non si sa bene quale “Straniero”, vincete il premio per il miglior kamikaze della famiglia Tafazzi: vi fate esplodere da soli in una stanza di cemento armato.

Mentre ancora ci risuonano nelle orecchie le parole di Matteo Renzi (“in caso di Brexit, escludo che ci siano rischi per l’Italia”), e mentre assistiamo a questi spasmi disperati per evitare di stramazzare su un tapis roulant che sta prendendo velocità, servirebbe tornare col pensiero all’ipotesi di aiuti dal fondo ESM, per ricapitalizzare le nostre banche. A volte sarebbe bene mettere uno stop loss, come direbbero quelli che stanno sui mercati, citando tuttavia una più generale filosofia di vita. Invece, quello che otteniamo sono solo questi approcci da bulletti di provincia, che sfidano il mondo salvo prenderle di santa ragione alla prima occasione utile. Ma prima del momento dello stop loss, cioè degli aiuti pubblici, serve indurre le banche ad economizzare capitale, con le buone o le cattive. Avete un buco di capitale? Le vostre sofferenze sono coperte in modo insoddisfacente? Avete un multiplo price-to-tangible book che è un prefisso telefonico internazionale? Piantatela di pagare dividendi. Non basta? Convertite il debito subordinato in azioni, come ultima chiamata per evitare il bail-in. Altro da fare non c’è. E smettete di crogiolarvi con questa stupida idea che per risolvere i problemi sia sufficiente avere a libro paga alcuni editorialisti che scrivono di quanto sono radioattive le banche altrui.

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