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Brescia, strage di Piazza della Loggia: quando lo Stato è beffardo

Il 28 maggio 2012 ricorre il 38° anniversario della strage di piazza della Loggia, a Brescia (1974). La natura di questo evento è scritta nel bersaglio colpito: i lavoratori che stavano manifestando in un giorno di mobilitazione democratica e antifascista. Come a Portella della Ginestra. Anche questa volta stava parlando un sindacalista e, come ventisette anni prima, il nemico era comune: il fascismo. La proposta identica: i diritti dei lavoratori. Simile anche la tecnica: sparare sulla folla, su un simbolo, su un ideale. Colpire nel mucchio.

A Brescia, l’oratore dal palco pronunciava il suo discorso sui rigurgiti di fascismo nell’Italia di allora, e stava riferendosi a un’altra strage, quando una bomba alla Banca dell’Agricoltura a Milano aveva lasciato a terra 17 morti e 88 feriti (1969). Non ebbe il tempo di toccare l’argomento.

Tre stragi. Una sola generazione. Gli strateghi del terrore potevano avere trenta o quarant’anni nel 1947, settanta nel 1974. E avrebbero anche potuto avere molti anni davanti per continuare nella loro strategia del terrore, nel loro modo sotterraneo e parallelo di continuare una guerra civile cominciata negli anni di Salò e mai finita. Potevano anche aver fatto scuola e allevato una nuova classe di giovani disposti a tutto, anche se con il cervello bacato.

Caduto il fascismo, infatti, qualcuno aveva deciso di non pacificare gli animi degli italiani, come aveva fatto Togliatti con la concessione dell’amnistia del 1946, ma di sperimentare un periodo di guerra civile a bassa intensità che servisse da spauracchio contro l’avanzata della sinistra in Italia, bloccando la democrazia e mettendola sotto vigilanza armata.

Brescia ne è la cartina al tornasole. La Corte d’Assise d’appello della città lombarda ha assolto venerdì i neofascisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, e il generale dei carabinieri Francesco Delfino, quali imputati della strage di piazza della Loggia (otto morti e un centinaio di feriti). Assolto pure Pino Rauti. Ma non è solo questo che scorcerta. Ci si chiede infatti se sia mai possibile che dopo un così lungo periodo, lo Stato italiano non sia riuscito ad arrivare a una doverosa verità sugli autori di questo, come degli altri massacri.

 E’ credibile uno Stato che nega la verità su fatti che hanno segnato nel profondo la sensibilità e la coscienza degli italiani? E ancora, come può un giudice condannare le parti offese, le vittime, i familiari che aspettano ancora giustizia, a pagare essi le spese di un processo che vede ancora una volta i loro familiari uccisi per una seconda volta?

In che Stato siamo? E che partiti sono tutti quelli che, nessuno escluso, di fronte all’assurdo di condannare chi grida giustizia e verità, non muove un dito per protestare o per proporre una legge che dia almeno un riconoscimento politico e civile ai familiari dei caduti che nonostante tutto da sempre hanno creduto nello Stato?

Qualunque sarà la motivazione di questa anomala sentenza, lo Stato ha già perduto perché alla mancata verità giudiziaria ha aggiunto il suo beffardo e complice silenzio

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