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Brasile: un fascista al Planalto. il nuovo presidente è Jair Bolsonaro

Una campagna di odio blocca la rimonta di Haddad. Undici i punti percentuali di scarto tra l’ex militare e il candidato del Pt.

Purtroppo è successo. Al termine di una campagna elettorale infinita, risoltasi al ballottaggio, ma che già dal primo turno aveva rivelato l’agonia politica del Partido dos Trabalhadores e del lulismo, il nuovo presidente del Brasile è Jair Bolsonaro. Con oltre il 55% dei consensi ha regolato facilmente Fernando Haddad (44%), il petista entrato in corsa, probabilmente troppo tardi, quando il Pt ha capito che nulla avrebbe salvato Lula dalla persecuzione giudiziaria.

Guardando la folla che festeggiava per le strade di Rio de Janeiro e sotto l’abitazione di quello che dal prossimo 1 gennaio sarà il nuovo presidente del più grande paese dell’America latina, viene da chiedersi se tutti coloro che lo hanno votato lo hanno fatto rendendosi conto del personaggio a cui avrebbero consegnato il loro paese. Passi per quelle elites che hanno abbandonato in fretta e furia la destra neoliberista di Geraldo Alckmin per trasferirsi armi e bagagli all’ultradestra pur di liberarsi a tutti i costi del petismo, ma sarà difficile che la classe media, quella che ha condannato alla sconfitta Haddad preferendogli le spacconate del suo competitor, sarà soddisfatta, con il passar del tempo, della presidenza Bolsonaro. Impossibile pensare, ad esempio, che l’invocazione ossessiva alla legittima difesa, sbandierata per tutta la campagna elettorale dall’uomo nero, riduca l’altissimo tasso di omicidi e le violenze quotidiane in Brasile.

Tuttavia, pur identificandosi Bolsonaro nei valori della dittatura, ridurre il suo exploitelettorale soltanto a questo potrebbe essere fuorviante. Sull’edizione di ottobre di Le monde diplomatique, i giornalisti Glenn Greenwald e Victor Pougy hanno scritto che quell’elite di corrotti su cui puntava l’oligarchia brasiliana è stata spazzata via “dall’arrivo al potere di un personaggio che incarna una minaccia per l’intero paese”. Nella loro analisi, pubblicata pochi giorni prima del ballottaggio del 28 ottobre, i due giornalisti evidenziavano come nella coalizione di Alckmin fossero presenti almeno 31 deputati accusati di corruzione, gran parte dei quali provenienti dal Partito progressista (centrodestra, a dispetto del nome) di Ana Amélia Lemos, che avrebbe ricoperto la vicepresidenza in caso di vittoria del candidato tucano. Lo stesso Bolsonaro aveva ritenuto opportuno smarcarsi e l’elettorato ha percepito la destra conservatrice altrettanto impresentabile, abbandonandola e puntando decisamente sull’uomo forte Jair per sconfiggere il malandato progetto petista.

Al tempo stesso, ha inciso sulla sconfitta di Haddad la perseveranza del Pt, e di Lula, nel cercare un punto di accordo con la grande borghesia, insistendo su quei programmi sociali che certamente hanno contribuito a far uscire dalla povertà estrema milioni di brasiliani, ma in chiave del tutto assistenzialista. Per comprendere tutto ciò basta ricordare un aneddoto riportato dal quotidiano argentino Página 12. In occasione di un sondaggio voluto dall’allora presidente Rousseff sulla percezione del programma “Bolsa Familia” tra le donne, il 90% di loro rispose che grazie a questo e ad altri programmi sociali la loro vita era molto migliorata, ma ringraziavano Dio e non i petisti. È così che Bolsonaro ha cercato di sfruttare al massimo anche l’aspetto religioso e per questo gran parte della popolazione lo ha votato.

Non è nemmeno un caso che in un lungo articolo pubblicato sul quotidiano il manifesto lo scorso 17 ottobre, la scrittrice Solange Cavalcante abbia ricordato un’intervista rilasciata da Lula nel 2005 al quotidiano Istoè in cui sosteneva: “Se un 60enne insiste a dirsi di sinistra non sta bene con la testa”. Il presidente si riferiva agli investitori che in quel periodo sostenevano il suo governo, ma che poi hanno prontamente abbandonato il petismo non appena non l’hanno trovato più vantaggioso.

Durante tutta la campagna elettorale le aggressioni contro i simpatizzanti del Pt e i militanti delle organizzazioni popolari sono andate crescendo, al pari della valanga di fake news abbattutesi su Fernando Haddad, sulla sua vice Manuela D’Avila e più in generale su tutto il partito. Inoltre, va ricordato come Bolsonaro abbia ottenuto voti non solo tra la classe media, bianca e scolarizzata, sfruttando anche un altro madornale errore del Partido dos Trabalhadores, quello di credere che sarebbe bastata la popolarità di Lula per far vincere Haddad, nonostante questa strategia si fosse rivelata già assai rischiosa nel 2011, quando alla fine Dilma Rousseff riuscì a guadagnarsi il Planalto.

Bolsonaro è stato assai abile a presentarsi come outsider nonostante sia stato deputato federale per ben 27 anni, durante gran parte dei quali è stato iscritto a quel Partito Progressista di Ana Amélia Lemos che in queste elezioni ha appoggiato Alckmin e la “socialdemocrazia” dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso. Ancora di più, il nuovo presidente del Brasile ha saputo utilizzare a suo vantaggio le statistiche che indicavano, nel solo 2017, il tasso record di 63.880 omicidi, avendo buon gioco a promettere la mano dura sui social network e nelle piazze, sottraendosi sempre ai confronti con Haddad, ma rilanciando i suoi proclami su facebook e su twitter senza alcuna possibilità di contraddittorio.

La lotta continuerà, promette il Brasile democratico, ma le scorribande delle squadracce denominate “Bolsonazi” fanno temere enormi passi indietro sul piano dei diritti sociali, civili e politici. In bocca al lupo Brasile. La resistenza parte da qui.

(*) articolo tratto da Peacelink – 29 ottobre 2018

Sull’esito delle presidenziali brasiliane segnaliamo anche i seguenti articoli:

 
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