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Brasile: l’agenda contro i diritti umani di Bolsonaro

Chiuse le urne, in Brasile è iniziata la sfida: difendere i passi avanti fatti nel campo dei diritti umani dalla fine della dittatura militare, di fronte a un presidente eletto, Jair Bolsonaro (nella foto), che non fa mistero di provarne nostalgia.
 
Bolsonaro ha portato avanti una campagna elettorale con un programma apertamente ostile ai diritti umani e ha spesso fatto dichiarazioni discriminatorie su vari gruppi sociali.

Se questa retorica velenosa e tossica si trasformerà in azioni politiche, la sua elezione a presidente del Brasile potrebbe rappresentare un enorme rischio per le popolazioni native e le quilombolas (le comunità dei discendenti dagli schiavi), le comunità rurali tradizionali, le persone Lgbti, i giovani neri, le donne, gli attivisti e le organizzazioni della società civile.

In campagna elettorale Bolsonaro ha promesso leggi più elastiche sul controllo delle armi e una licenza di uccidere a priori per i funzionari di polizia. Queste proposte, se realizzate, peggiorerebbero il già tragico contesto di violenza letale in un paese in cui si verificano 63.000 omicidi l’anno, di cui più del 70 per cento a causa delle armi da fuoco, e nel quale la polizia commette approssimativamente 5000 omicidi l’anno, molti dei quali sono di fatto esecuzioni extragiudiziali.

Ancora, Bolsonaro ha minacciato le terre delle popolazioni native, attraverso la modifica delle procedure di demarcazione dei terreni e l’autorizzazione a progetti per lo sfruttamento delle più importanti risorse naturali. In tal senso, ha anche parlato di allentare le norme sulla salvaguardia dell’ambiente e ha criticato le agenzie di protezione ambientale del Brasile, mettendo in pericolo il diritto di tutte le persone di godere di un ambiente sano.

Il Brasile ha uno dei tassi più alti di uccisione di difensori dei diritti umani e attivisti del mondo: decine di loro vengono assassinati ogni anno per aver difeso diritti che dovrebbero essere garantiti dallo stato.

In questo grave contesto, le dichiarazioni di Bolsonaro sul voler porre fine all’attivismo e dare un giro di vite ai movimenti sociali organizzati rappresentano una minaccia concreta ai diritti alla libertà d’espressione e di assemblea pacifica garantiti dalle leggi nazionali e internazionali.

Bolsonaro e il suo vice presidente Mourão, entrambi militari riservisti, hanno pubblicamente difeso i crimini commessi durante il precedente regime, inclusa la tortura.

Si preannunciano tempi bui per il Brasile.

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