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Boris, il socialTory

E' formalmente scaduto il termine utile per negoziare una proroga del regime transitorio tra Regno Unito e Ue, durante il quale i britannici continuano ad accedere a unione doganale e mercato unico.

Dovrebbe quindi essere confermato che, il prossimo primo gennaio, il Regno Unito regolerà i propri rapporti con l’Unione o a mezzo di un trattato di libero scambio approvato nel frattempo, oppure con le tariffe doganali standard della WTO. Premesso che, se volete i miei due centesimi, quella di ieri era una finta deadline, non è di questo che voglio parlarvi, oggi.

Parliamo, invece, della vocazione “sociale” di Boris Johnson e del suo tentativo di “livellare” il territorio del Regno Unito, sotto l’aspetto della lotta alle diseguaglianze economiche. Come sappiamo, questa postura di conservatorismo sociale ha consentito ai Tory di espugnare molte roccaforti laburiste, nelle zone più povere del paese. Ora è tempo di dare seguito a quelle promesse, sapendo che nel frattempo la pandemia ha solo peggiorato la situazione.

Ieri, in un discorso al Dudley College of Technology, dietro ad un podio in cui campeggiava il grido di battaglia “Build Build Build“, Johnson ha escluso il ritorno alla “austerità”, cioè ai tagli di spesa ma ha anche rifiutato di escludere l’ipotesi di aumenti d’imposta, in ciò contravvenendo al manifesto elettorale conservatore, in cui si prometteva niente aumenti di imposte dirette, indirette e contributi. Ma è ovvio anche ai sassi che quello era prima del Covid.

Sono interessato a seguire da vicino parole e fatti di Downing Street perché in politica e nella vita reale non si inventa nulla, ed anche per comprendere quanto noi italiani siamo simili o differenti rispetto alle narrazioni politiche del tempo. Soprattutto, a raffronto di un paese che da anni pare essersi cullato nel sogno populista di soluzioni semplici a problemi complessi, esattamente come dalle nostre parti.

Vediamo quindi le idee. Intanto, visto che non si inventa nulla, ecco le costruzioni come volano immediato di crescita. Come dicono i francesi, “quand le bâtiment va, tout va“, quando va l’edilizia, va tutto. E infatti, Johnson propone alcune idee già sentite da noi ai tempi di Berlusconi e non solo.

Ad esempio, in ambito privato, cambio di destinazione d’uso, da commerciale a residenziale, senza necessità di variare il piano regolatore; oppure, “demolisci e ricostruisci” senza troppa burocrazia, allo stesso modo in cui si dovrebbe poter aumentare la cubatura del residenziale mediante sopraelevazione. Se vi sembra di essere tornati ai tempi di Berlusconi e della “stanza del figlio”, ve l’ho detto che nulla s’inventa. Resterà da vedere la propensione britannica agli abusi edilizi da sanare con interventi di questo tipo.

A parte questo, interessante che Johnson parli di New Deal. Cioè di qualcosa generato dall’interno del paese, mentre gli italiani preferiscono parlare ad ogni pie’ sospinto di Piano Marshall, cioè di sovvenzioni che piovono dall’esterno. I più conservatori tra voi, ammiratori dell’autodichiarato erede di Winston Churchill, stiano sereni: Johnson ieri ha detto anche “non sono comunista”. Sembra una excusatio non petita.

Quando però si va a vedere a quanto ammonterebbe questa poderosa spinta di spesa pubblica infrastrutturale, si vede che al momento sarebbero 5 miliardi di sterline, in ampia parte derivanti da riallocazione ed accelerazione di precedenti impegni di spesa. Aria di famiglia anglo-italiana anche qui, vedete?

E mentre il rischio è quello di fare il New Deal coi fichi secchi, con risorse pari allo 0,25% del Pil, anche il Regno Unito è sotto l’ombra spettrale della disoccupazione di massa quando, a ottobre, lo schema di cassa integrazione verrà rimosso. Tutti, Johnson incluso, guardano al giovane Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, quasi fosse una sorta di stampante magica di denaro.

Altro pivot di questa strategia dei social-Tory sono le mani libere per gli aiuti di stato. Sul tema, gli attriti negoziali con la Ue non si contano, con Bruxelles che teme che i britannici possano diventare concorrenti “alla cinese” delle imprese comunitarie, a Brexit compiuta.

Prima di entusiasmarci per il grande ritorno dello “stato imprenditore” è utile sapere che, ad oggi, il governo Johnson sta usando gli aiuti di stato, “liberalizzati” dalla Ue causa pandemia, per puntellare aziende che erano già barcollanti ma che sono state rapidamente ribattezzate “strategiche”.

Anche qui, similitudine con gli italiani? Non è detto. Il programma ha nome in codice Project Birch, è uno schema di investimento nel capitale di imprese “strategiche” ed economicamente vitali, o presunte tali, che hanno già esaurito l’accesso ai prestiti pubblici.

Ad oggi pare che solo sei aziende siano impegnate in colloqui col governo britannico, per avere erogazioni di capitale con condizionalità. Tra esse, una piccola acciaieria gallese di proprietà di un gruppo spagnolo, e che occupa 500 dipendenti in una zona economicamente depressa. Altri produttori di acciaio avrebbero approcciato il governo. Oltre a manifatturieri di aerospaziale ed auto.

Quando la Ue ritirerà la carta bianca agli aiuti di stato sarà interessante vedere la risposta dei britannici, visto che proprio gli aiuti di stato sono una delle aree critiche per il trattato di libero scambio tra Bruxelles e Londra. Ma parliamo di un futuro che rischia di essere molto lontano, sotto ogni aspetto.

Al momento, quindi, la policy del Regno Unito presenta somiglianze e diversità con la situazione italiana. Leva su edilizia privata e infrastrutture pubbliche, attenzione alla scadenza degli schemi di cassa integrazione, discussioni su ingresso dello stato nel capitale di imprese operanti in settori annichiliti dalla pandemia. Ah, c’è persino un simbolico ponte da costruire.

Ma la narrazione britannica è New Deal anziché Piano Marshall. Forse l’orgoglio di un popolo rispetto ai piagnistei di un altro. Forse il Recovery Fund sarebbe stato utile anche a Londra. E poi loro stampano moneta, no? Quindi che bisogno hanno di immaginare aumenti d’imposta? O no?

A parte queste facili ironie, per Boris Johnson un vero e proprio cluster di momenti della verità, nelle prossime settimane e mesi. Se dovessi scommettere sul lieto fine, me ne asterrei.

Foto: Number 10/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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