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Biomasse, biogas davvero tutto “bio”? L’ecotruffa che cresce nel Bel paese

Se “In Italia nei primi 9 mesi del 2012 hanno portato i libri in Tribunale più di 35 imprese al giorno, quasi 1.000 al mese” c’è un business che non conosce crisi: le centrali a biomasse e biogas. Una semplice ricerca sulla parola “biomasse”effettuata su Google negli ultimi quindici giorni di novembre fornisce un risultato pari a 78 news, una media di 5 nuove notizie al giorno. Così non stupisce che nella sola Toscana siano previsti, entro il 2015, 70 nuovi impianti per almeno 70 megawatt di potenza installata, con una piccola limitazione: per salvaguardare l’ambiente la biomassa non potrà arrivare da una distanza superiore ai 70 km dall’impianto.

Ma da dove arrivano i soldi per finanziare solo queste e non altre opere? I finanziamenti, come prassi, sono statali e regionali e ben poco rimane a carico dei privati. Ed è questo il primo ed unico ingrediente di successo: i certificati verdi per la produzione di energia elettrica da biomasse (ultimo il DM rinnovabili del 6 luglio 2012), hanno reso vantaggioso questo investimento al fine di ottenere energia elettrica in modo tale da incassare gli incentivi economici da parte del Gestore. Pare quindi piuttosto semplice dedurre che senza finanziamenti pubblici, i privati non avrebbero tirato fuori un solo euro, perché bruciare non solo non appartiene al campo delle energie rinnovabili (come vedremo) ma non è neanche competitivo, in termini di sostenibilità ambientale, con altre forme di produzione di energia.

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Non sorprende che, come nel resto d’Italia, il Lazio sia da qualche anno diventato meta di una miriade di progetti e investimenti nel settore, tanto da rendere difficile se non impossibile mantenere il conto preciso delle iniziative già operative. L’unica cosa certa è che nulla trapela sui giornali sino a quando i cittadini si ritrovano gli impianti in fase di avanzata costruzione a un passo da casa e, a quel punto, traditi da amministratori interessati non sempre al bene pubblico, decidono di scendere sul piede di guerra. La paura non è dovuta solo alla trasformazione dell’ambiente e alla perdita di preziosa terra quanto al fatto che quell’ambiente diventerà inospitale e pericoloso per la salute. Sarebbe più che giustificato pretendere che progetti, piccoli o grandi che siano, tengano conto del territorio, dei vincoli esistenti di carattere archeologico o della presenza di una Zona a Protezione Speciale, di un Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico (PAI) che ha come obiettivo la minimizzazione dei danni connessi ai rischi idrogeologici.

Invece, in questa bulimia energetica, ci si dimentica anche delle aziende agricole e zootecniche con proprietari e dipendenti, del turismo che in Italia dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere il fiore all’occhiello della ripresa economica e che finisce per essere puntualmente sacrificato. Nella scelta dei siti la politica non tiene conto di ciò che si perde, nelle segrete stanze si scelgono spesso aree marginali di comuni piccoli dove è più facile nascondere l’entità del progetto, si fanno balenare posti di lavoro precari, l’importanza dell’impresa per uno sviluppo di cui non si conoscono gli obiettivi, si aggiunge per comodità un “bio”, si nascondono i costi e il “pacco” è pronto.

Un caso esemplare è quello di Pian della Carlotta, al Sasso, una frazione del comune di Cerveteri (la cui necropoli è uno dei siti etruschi più famosi al mondo e patrimonio Unesco) dove la Provincia di Roma, all’insaputa di tutti i cittadini interessati, ha autorizzato una delle 25 centrali a biomasse previste nell’ambito provinciale. E purtroppo non ci troviamo in Valle d’Aosta che, domenica scorsa, ha liquidato in una sola giornata il progetto di un inceneritore valutato negativamente dalla popolazione. Un risultato questo su cui riflettere perché conferma i dati dell’Osservatorio Nimby (Not in my back yard Non nel mio giardino) che vede salire il numero di comunità locali contrarie a progetti definiti di rilevanza nazionale dai 331 del 2011 ai 366 del 2012 (come anticipato su L’Espresso n.47). E se in quella statistica entrassero anche i progetti locali cosa accadrebbe?

Di sicuro c’è che tra autorità pubbliche e partiti, pochi si saranno chiesti cosa siano le biomasse, quanto sia rinnovabile l’energia prodotta e se sia davvero indispensabile una nuova fonte d’inquinamento in un’area dove in un raggio di 25 km è presente il più grande polo energetico d’Europa (Civitavecchia e Montalto di Castro), il maggior porto passeggeri del Mediterraneo, l’Aeroporto internazionale Leonardo da Vinci che da solo fa il 20% dell’inquinamento di tutta la provincia, la famigerata discarica di Malagrotta e altri siti importanti (vedi mappa). Così dove i referendum, come quello effettuato in Valle d’Aosta, non si possono fare, sale la protesta di un crescente numero di abitanti che vogliono capire cosa c’è di tanto “bio” in quegli impianti se possono far perdere il marchio “biologico” alle produzioni di qualità e, come nel caso di Soriano nel Cimino, minacciano la produzione della nocciola DOP.

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Mappa del Territorio - Fonti d’inquinamento

Per fare luce su tutto questo mondo i Comitati popolari (che hanno realizzato un sito informativo comune) da Terranostra del Sasso a Rifiuti Zero Fiumicino, da Salviamo Bracciano a Salviamo il Paesaggio al Movimento No Coke Alto Lazio fino ai viterbesi No Biogas di Soriano nel Cimino e Capranica Ambiente, comuni questi ultimi a cui non manca neanche la famigerata acqua all’arsenico, hanno organizzato una manifestazione-convegno “Centrali a biogas e a biomasse: scelta ecologica o eco truffa?” a Manziana, comune al confine tra la provincia di Roma e quella di Viterbo, a qualche chilometro dal Sasso e da Cerveteri.

Antonella Litta (ISDE Medici per l'Ambiente), Gianni Tamino, Mauro Mocci (ISDE Medici per l'Ambiente) , Gianni Tamino, Mauro MocciA raccontare come stanno le cose, con argomentazioni scientifiche e mediche, sono stati chiamati Gianni Tamino, docente di Biologia generale oltre che di fondamenti di Diritto ambientale all’Università di Padova e scienziato di prestigio che ha fatto parte del Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie e del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, Mauro Mocci, medico di base, membro della commissione ambiente dell’Ordine dei medici di Roma, attivo nell’ISDE Italia, l’Associazione dei medici per l’ambiente, che da anni studia gli effetti delle emissioni delle centrali a carbone e a biomasse non tanto sulle statistiche epidemiologiche quanto direttamente sui pazienti e infine la dottoressa Antonella Litta, medico di base, anche lei referente provinciale di ISDE Italia, specializzata in reumatologia, che ha lavorato alla Sapienza su una delle prime ricerche legate agli effetti dei campi elettromagnetici e molto attenta agli effetti cancerogeni del radon (gas radioattivo naturale) e dell’arsenico nell’acqua, i cui limiti, anche di quattro volte superiori alla norma, sono innalzati con deroghe dagli stessi Comuni.

Gianni Tamino, Università di PadovaGianni Tamino (le slide della presentazione sono visualizzabili qui) ha tenuto una lezione di ecologia che ha compreso anche il tema delle biomasse e del biogas. Si parte da un concetto elementare: la natura non produce rifiuti, ricicla. Ma negli ultimi duecento anni, a differenza dei processi produttivi naturali che utilizzano energia solare, che seguono un andamento ciclico senza produzione di rifiuti e senza combustioni, l’uomo ha introdotto nuovi processi produttivi industriali bruciando energia fossile. Da qui derivano inquinamento e rifiuti (considerabili sprechi di materia ed energia) mai conosciuti prima in tutta la storia umana. E biomasse e biogas fanno parte integrante di questa analisi.

Le centrali a biomasse sono di tipologie diverse: a biomasse solide, a biomasse liquide (oli vari: palma, girasole, soia, ecc.), a biogas, ottenuto da digestione anaerobica (in assenza di aria si degrada la materia elevando la temperatura e utilizzando i batteri). Il fine è quello di produrre di energia ma non senza effetti negativi. Non si tratta solo di cattivi odori o di inquinamento da trasporto delle biomasse necessarie ad alimentare gli impianti oppure degli scarti da smaltire prodotti dagli stessi biodigestori. Le emissioni non sono esattamente vapori termali. Tamino ha calcolato che un impianto al di sotto di 1 MW (ma tutti quelli che operano nell’area sono di taglia ben maggiore) producono 1,2 ton/anno di composti organici totali, 6 ton/anno di monossido di carbonio, 3 ton/anno di ossidi di azoto, 6.7 di ossidi di zolfo e persino formaldeide e acido cloridrico, polveri ultrasottili e, seppure in quantità non importanti, le cancerogene diossine (IARC , gruppo1) che anche in quantità modeste, attraverso gli alimenti contaminati, si accumulano lentamente nei tessuti grassi degli animali e dell’uomo.

Nelle biomasse finisce anche la FORSU cioè la parte organica dei rifiuti urbani, ma ci sono persino, e il dato è in sensibile aumento, piante espressamente coltivate per ricavare fonti di energia (si pensi al “biodiesel”), sottraendo la terra alle coltivazioni ad uso alimentare umano. Un fatto questo che Tamino definisce “eticamente immorale”. Per fare qualche confronto, si può affermare con una certa approssimazione, che un cogeneratore di quasi 1 MW (parliamo sempre della taglia più piccola) brucerà un quantitativo di metano equivalente a quello di circa 3.500 case di oltre 100 metri quadrati di superficie ma con emissioni concentrate in un solo punto.

Ma allora quando si può parlare di fonti rinnovabili? Semplice, spiega Tamino, quando si realizza la condizione che “in un anno si può togliere all’ambiente tanti quintali di biomassa quanta in quell’anno quel territorio sarà in grado di riprodurre”. E anche se gli impianti sono di piccola taglia essi devono trovarsi dove la materia prima sia prelevabile in loco (manutenzione dei boschi, residui di segherie). Se invece si va nella direzione dell’incremento forzoso del numero di impianti che bruciano biomasse, i risultati non potranno che essere identici a quelli prodotti dalle centrali termiche e quindi gas a effetto serra, polveri sottili, microinquinanti, diossine, ossidi di azoto.

Nell’uso dei biodigestori anaerobici è insito un ulteriore fattore di rischio emerso nel corso di un convegno svoltosi lo scorso mese di ottobre a Capalbio, moderato da Giancarlo Santalmassi, in cui il Prof. Böhnel ha evidenziato come in Germania (7000 impianti a biogas ma tutti vicini ad allevamenti e a coltivazioni estensive e non nei parchi archeologici), a parte 90 incidenti negli ultimi 2 anni anche con morti e feriti, è possibile la fuoriuscita nell'ambiente di pericolose spore di Clostridium botulinum (botulino) o sversamenti nei corsi d'acqua vicini agli impianti. Insomma per Tamino la soluzione moderna non è quella dei rifiuti utilizzati per la produzione di energia ma anche di inquinamento (non dimenticando che il sole fornisce gratis qualcosa come 130.000 miliardi ton. Equiv. Petrolio), l’obiettivo è non buttare in discarica i rifiuti, il miglior rifiuto è quello che non si produce.

Ma allora cosa fare? Occorre agire sia sulla riduzione degli imballaggi che costituiscono il 50% dei rifiuti domestici; se l’89% dei rifiuti solidi urbani è riciclabile e il 30% può diventare compost per l’agricoltura, la carta torna ad essere carta come il legno e il vetro, l’alluminio è riciclabile al 100%. E però indispensabile che i cittadini chiedano la raccolta porta a porta. Rimane, sottoliea Tamino, un 11% che non è riutilizzabile e su questo c’è bisogno di leggi che impongano rigidi criteri di progettazione che limitino o azzerino l’uso di “oggetti compositi”.

L’intervento del dottor Mauro Mocci sui “Biodigestori anaerobici alimentati da rifiuti organici - La situazione nel nostro territorio - Le soluzioni alternative” incentrato in particolare sui problemi legati alla salute umana e sulle soluzioni offerte dai digestori aerobici può essere visualizzato qui. L’intervento della dottoressa Antonella Litta su “Biogas, biomasse e biodigestori. - Scelta ecologica o eco truffa?” può essere estratto qui. L'ironico intervento di Margherita Buy al Convegno di Capalbio sulle biomasse:

La copertina di TIME del febbraio 1970 dedicata a Barry Commoner“…ogni cosa è collegata a un'altra, mentre il sistema è reso stabile dalle sue dinamiche proprietà, se sottoposte a uno stress eccessivo, possono condurre a un drammatico collasso; la complessità della rete ecologica e la sua intrinseca velocità di ricambio determinano il livello massimo di stress cui può essere sottoposto l'ecosistema, nonché per il tempo massimo di funzionamento prima del crollo; la rete ecologica è un amplificatore; una piccola perturbazione in una sua parte può avere ampi effetti a distanza e nei tempi lunghi." Barry Commoner (scomparso il 30 settembre 2012), Il cerchio da chiudere, 1971.

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.230) 3 dicembre 2012 10:19

    A Turbigo (MI) proprio ieri una manifestazione contro la costruzione di una centrale a biomassa in un territorio già devastato dall’inquinamento


    • Di Giorgio Zintu (---.---.---.196) 3 dicembre 2012 10:42
      Giorgio Zintu

      Infatti nessuno tiene più il conto di tutte queste centrali che inquinano ma non eliminano il problema dell’immondizia e del suo corretto riciclo e, come nel caso di colture impiantate ex novo proprio per utilizzare gli incentivi, determinano una perdita di valore per il territorio e per gli stessi immobili oltre che aumentare considerevolmente i costi della salute (che rimangono a carico dello Stato e delle famiglie).
      E’ importante che cresca l’informazione e la mobilitazione su questi temi. Altrimenti i casi simil-ILVA saranno disseminati su tutta la penisola. Dal punto di vista economico, senza incentivi stupidi, nessuno investirebbe un soldo in biomasse e biogas (digestione anaerobica) perchè è del tutto antieconomico.

  • Di Renzo Riva (---.---.---.96) 10 dicembre 2012 00:05
    Renzo Riva

    Ormai il meccanismo delle ecotruffe
    partito col fotovoltaico ed eolico ha dato buona prova di sé.
    .
    Pertanto perché abbandonare la strada vecchia e sperimentata
    che tante soddisfazioni ha dato ai delinquenti politici e criminali economici?
    .
    http://3.bp.blogspot.com/-4p2ef9J191o/UJ991G9gOPI/AAAAAAAAAcQ/XjiqcnjkD88/s640/AGW.JPG

    • Di Giorgio Zintu (---.---.---.102) 10 dicembre 2012 08:47
      Giorgio Zintu

      Tutto in questo paese può trasformarsi in un affare per pochi e in un conto salato per la quasi totalità. Per questo la prima cosa da fare è che ci sia una coscienza diffusa che combatta la corruzione più della moina della Legge che per legge stabilisce che i condannati rappresentino i cittadini. Questo prescinde da fotovoltaico o eolico che in bella mostra su terreni di pregio hanno azzerato le attività agricole e impoverito il paesaggio, l’unica risorsa che abbiamo ereditato da chi è venuto prima di noi. Pur di non cambiare, il mondo preferisce correre verso il suo iceberg, non sfruttando le risorse a costo zero e bruciando, al contrario, tutto quello che capita. Ma presso gli ospedali si fanno code di mesi per fare ecografie o tac e poiché di soldi in tasca ce ne sono sempre meno, la salute passa in secondo piano, aprendo le porte a un futuro fatto di disgrazie frutto di scelte sbagliate.

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