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Berlusconismo, società dell’immagine, spettacolarizzazione

Il “Grande Fratello” con il suo essere reality show forse ha influenzato tante trasmissioni che vediamo oggi. Tanti talk show politici fanno grande uso di “spettacolarizzazione dei drammi sociali” invitando platee di disoccupati, cassintegrati, precari etc. e dando un “canale di sfogo” al loro dissenso, alla loro rabbia, al loro malcontento e così facendo inscenano anche una sorta di reality momentaneo al di fuori degli studi in cui viene realizzata la trasmissione e talvolta anche all’interno dei luoghi dove è realizzato il programma.

L’eccessiva spettacolarizzazione che ricorda tanto il "Grande Fratello" è presente in tanti programmi sotto forma di spettacolarizzazione della notizia e dei drammi sociali come già detto. La spettacolarizzazione si accompagna spesso con grandi dosi di demagogia e populismo e talvolta anche con un pizzico di giustizialismo “che non guasta”.

Inoltre il “Grande Fratello” come tanti altri programmi è stato degno testimone di anni di berlusconismo: un berlusconismo che ha tradotto in Italia in forma cafona e pacchiana “la società dell’immagine” caratterizzante la società postmoderna contemporanea, una società del’immagine che propone mitologie, icone pop, divi, supereroi, sottoculture etc, una società dell’immagine che fonda la sua forza sulla logica dell’apparire, una società dell’immagine che genera desertificazione culturale, massificazione, appiattimento sociale etc.

Forse è stato ereditato dal Grande Fratello anche il registro linguistico “basso” talvolta presente in alcuni programmi, anche se in minima misura.

Il berlusconismo e i “suoi” programmi, la società dell’immagine, la spettacolarizzazione, questi elementi sono ben presenti in tanti programmi che vediamo oggi alla televisione: programmi che “plasmano” le masse, programmi che “educano il popolino”, programmi che strumentalizzano il dolore, programmi che mercificano tutto ciò che può essere mercificabile, programmi che vendono idee e concetti in un immenso marketing multimediale interrotto da altri messaggi pubblicitari.

Il tutto in una narratologia di verità molteplici che si sostituiscono continuamente le une con le altre.

 

 

Foto: Molicoross

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.161) 1 aprile 2014 19:10

    Vulgata >

    Vari opinionisti e sedicenti intellettuali propagandano i meriti della cosiddetta democrazia “diretta”. Semplicemente: quella via web.
    Quella che, secondo loro, consentirebbe a ciascun cittadino di diventare un soggetto “attivo” nella formazione e formulazione di indirizzi politici riguardanti il sistema paese.
    Tesi fondata sulla constatazione del numero crescente di internauti.

    Si assume cioè il presupposto che milioni di cittadini abbiano, oltre l’interesse e la preparazione specifica, il tempo necessario per seguire ed approfondire (ogni giorno) le varie problematiche via via emergenti. Questo fino al punto di riuscire a sostenere, con cognizione di causa, il confronto immediato con la varietà di posizioni diversificate parimenti presenti nella rete.

    Nei fatti. Il rischio concreto è che una gran parte degli internauti abbracci, più semplicemente, le tesi propagandate e “filtrate” da alcuni referenti (capofila) o che introiti la posizione più ricorrente e condivisa nei siti frequentati. Dei siti magari preferiti per tutt’altre ragioni d’interesse.

    In sintesi. E’ risaputo che la rete è come una piazza “virtuale” sempre affollata.
    La piazza non è certo il “luogo ideale” per un confronto pacato e ragionato di idee e soluzioni. Specie su tematiche di coinvolgimento collettivo che, come tali, spesso sfuggono nelle molteplici sfaccettature ed implicazioni.
    Un conto è la raccolta di informazioni e di opinioni.
    Tutt’altra cosa è scegliere, decidere ed attuare un certo progetto.

    Non ultimo. Quando il valore è dato solo dai numeri contano anche i soggetti affetti da Pescitudine

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