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Banca Popolare di Bari: destino cinico, i nodi al pettine

Un nuovo dramma, di quelli rallentatore, sta avviluppando risparmiatori italiani che hanno messo soldi in una banca: quello delle azioni della Banca Popolare di Bari. La storia è nota: risparmiatori che comprano azioni della loro banca cooperativa, pensando che non di capitale di rischio si tratti bensì di una sorta di salvadanaio rafforzato.

 C’è il dettaglio che quelle azioni non sono quotate da nessuna parte, e quindi per liquidare l’investimento occorre attendere che ci siano compratori ma che sarà mai?, si saranno detti i risparmiatori, forse “consigliati” dal personale della banca. Prima o poi, tutto si aggiusta. E invece no.

Invece, al primo bilancio in cui la banca è costretta a svalutare le azioni, ecco che scatta il panico, e tutti si precipitano all’uscita. Che è bloccata. Segue allestimento di uno pseudo mercato interno, in cui vengono incrociate le partite in acquisto e vendita, ma questo mercato non brilla per trasparenza. Segue ulteriormente lo sforzo del sistema delle banche minori di creare un mercatino telematico (HI-Mtf) in cui tentare di dare trasparenza alle transazioni ma anche qui, almeno per la popolare barese, c’è un micidiale squilibrio tra quantità in vendita e quelle in acquisto. Un crollo al rallentatore, dove l’oscillazione giornaliera delle quotazioni resta ferma all’8% per due mesi, poi viene portata al 12%. Ma ancora nulla. Ed è panico. Nel mezzo, tesi ardite del tipo “la banca a questi prezzi ha multipli maggiori di quelle quotate ma questo è fisiologico, noi siamo differenti”. Eh, sì.

Negli ultimi giorni, la magistratura ha aperto un’indagine, dopo la denuncia di un ex dipendente della banca addetto alla gestione rischi. Le ipotesi di reato sono associazione a delinquere, truffa, ostacolo alla vigilanza, falso in prospetto. Ora, chiariamo subito un punto fondamentale: a seguito di una denuncia del genere, la magistratura non può non attivarsi, tale è la gravità delle ipotesi di reato. Ma tutto potrebbe finire nel nulla, nel senso che quei reati potrebbero risultare inesistenti. Sarebbe quindi utile evitare di saltare direttamente alla Cassazione del Popolo, magari social.

Ma l’ipotesi di falso in prospetto, cioè di dichiarazioni mendaci della banca circa la propria situazione economica, patrimoniale e reddituale, ha immediatamente fatto accendere la lampadina in testa a quanti tentano di riavere indietro i soldi delle proprie azioni, con le buone o con le cattive. “Se c’è falso in prospetto, gli aumenti di capitale sono viziati in radice, ergo la banca deve ridarci i soldi di quelle azioni”, è l’induzione. Che però è fallace, visto che, se anche così fosse, la restituzione di quelle somme manderebbe in fallimento la banca, e addio soldi. Interessante dilemma del prigioniero. E quindi, che fare? Al momento, la cosa più banale: invocare l’aiuto di comune e Regione. Semplice, no? Si sbaglia un investimento, soprattutto per profonda ignoranza del medesimo, poi si cerca la carta bollata e da ultimo si invoca il “pubblico”, che è la rete di protezione di ultima istanza.

“Perché non sapevamo quello che facevamo”, gemono gli azionisti che credevano di aver sottoscritto un porcellino di terracotta. A seguire, su questa via arriveranno i benecomunisti, quelli che “basta col liberismo!”, ma a Bari ci sarà un problema in più: il fatto che la Popolare è coccolata da sempre dai due maggiorenti del Pd regionale, Michele Emiliano e Francesco Boccia, e allora sarà molto difficile dire che si tratta di un caso di razzia kapitalistika. A dire il vero, Boccia sta già cercando un ardito punta-tacco, al grido “via gli squali capitalisti dal gioiello del Sud, basta con le svendite”. Dura, molto dura, tenere assieme tesi ed antitesi. Poi ci sono gli stati confusionali permanenti come Stefano Fassina, che nel dubbio chiedono alla famiglia Jacobini, che controlla la banca, di lasciare. A chi e come, non è chiaro, ma conoscendo Fassina potremmo pensare a qualche bella nazionalizzazione o regionalizzazione. Altrimenti arrivano gli squali, signora mia. Basta col familismo, proviamo col partitismo, in caso.

Che dire, tirando le somme? Che la magistratura deve fare il proprio lavoro (stucchevole, lo so, ma è così), e che alla fine potrebbe non esserci alcun reato. In quel caso, tutto si ricondurrà all’assenza di cultura finanziaria ed economica, che ha portato i clienti della popolare a sottoscrivere capitale di rischio pensando che rischio non vi fosse. E qui, poco da dire. Vale anche per la signora che ha investito mezzo milione di un’eredità in azioni della Popolare. Poi verrà il momento di “lo Stato, la Regione, il comune ci devono aiutare”, eccetera. Verrà il momento degli arruffapopolo e dei parassiti, uno dei tanti momenti del genere. E dei saltimbanchi che diranno “nazionalizziamo, così avremo una banca per fare credito al Popolo!”. O anche di quelli che “è stata la Bce, e comunque se fossimo rimasti una popolare cooperativa non sarebbe successo”. Solo l’imbarazzo della scelta di proiettili d’argento, venghino.

Se invece si scoprirà che reato vi fu, sarà problema al solito della vigilanza che non vigilava, tutti torneremo a prendercela con le banche tedesche che “chissà cosa nascondono” ma verrà pure polverizzata la tesi dei Masanielli del tacco, quelli che difendono a spada tratta i figli della loro terra, come si dice con retorica diabetogena. Ma in quel caso si scoprirà che l’orrido capitalismo predatorio può assumere le fattezze del rassicurante concittadino, quello che ha la tua stessa inflessione dialettale, e che magari la domenica vedi a messa o alla processione della statua del santo patrono. “La banca della porta accanto”, in pratica, ricette di cucina incluse. Ma si potrà sempre contare sulla memoria da pesci rossi degli elettori-risparmiatori, che è quella che ha sin qui tenuto a galla la nostra classe digerente, Masanielli inclusi.

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