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Bahrein, rischia tre anni per un tweet

Domenica 2 novembre sapremo se Nabeel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein e direttore del Centro per i diritti umani del Golfo, sarà stato giudicato colpevole di aver offeso via Twitter i ministri dell’Interno e della Difesa.

Rientrato in Bahrein il 30 settembre, dopo due mesi di conferenze in Europa sulla situazione dei diritti umani nel suo paese, Rajab è stato arrestato il 2 ottobre e portato in una cella della stazione di polizia di Hoora, dove si trova attualmente,con l’accusa di “aver offeso pubblicamente istituzioni ufficiali” dopo aver commentato online la notizia che membri delle forze di sicurezza bahreinite si erano aggregati in Iraq, al gruppo armato Stato islamico.

In Bahrein proferire “offese” non meglio definite o mostrare mancanza di rispetto verso il capo di stato, esponenti pubblici, le forze armate, le istituzioni del governo o la bandiera e i simboli della nazione è considerato un reato grave. Amnesty International ha ripetutamente chiesto, sinora invano, alle autorità bahreinite di abrogare gli articoli del codice penale che criminalizzano la libertà d’espressione.

Oltre ad Amnesty International, l’Ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani e una manciata di parlamentari europei hanno chiesto il rilascio di Rajab mentre degli stati della comunità internazionale, solo Norvegia e Usa hanno preso posizione in suo favore. Il principale alleato del Bahrein, la Gran Bretagna (a parte 12 parlamentari), tace.

In precedenza, Rajab aveva scontato due anni di carcere per i reati di “riunione illegale”, “disturbo all’ordine pubblico” e “convocazione e partecipazione a manifestazioni senza preavviso” nella capitale Manama. Era stato rilasciato nel maggio 2014.

Altri attivisti sono stati perseguitati per aver esercitato il diritto alla libertà d’espressione. Il 22 ottobre, Nader Abdulemam è stato condannato a sei mesi di carcere per “offesa” a una figura religiosa, dopo aver fatto commenti su Twitter su Khaled bin al-Waleed, un compagno del profeta Maometto.

Zainab al-Khawaja, incinta all’ottavo mese, è stata arrestata il 14 ottobre per aver strappato una foto del re ed è attualmente in stato d’arresto mentre si svolge il processo per “offesa pubblica al re”. Oggi, una nuova udienza.

Ghada Jamsheer, attivista per i diritti delle donne, è sotto processo per aver denunciato via Twitter la corruzione all’interno del Policlinico universitario re Hamad.

Come se non bastasse, due giorni fa un tribunale ha ordinato l’espulsione di 10 persone che, dal novembre 2012, erano prive di cittadinanza. Stranieri in patria, in buona sostanza.

I 10 nuovi apolidi, che potrebbero essere espulsi da un giorno all’altro, fanno parte di un gruppo di 31 persone – tra cui due ex parlamentari, esponenti religiosi sciiti e attivisti della società civile – cui due anni fa era stata revocata la cittadinanza poiché – ai sensi della legge sulla cittadinanza, recentemente inasprita – costituivano “una minaccia nei confronti della sicurezza dello stato”. Sulla base di quali prove, non è dato saperlo.

Dopo la sentenza del novembre 2012, i 31 sono diventati a tutti gli effetti “clandestini”. Per questo, ad agosto era iniziato il processo per “soggiorno illegale” nel loro paese. Nel frattempo, la maggior parte di loro aveva deciso di lasciare il paese. Se Kafka fosse ancora vivo, avrebbe tratto ampi spunti da questa vicenda.

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