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Azerbaigian, arrestata la promotrice della campagna contro i Giochi europei del 2015

Mentre il Comune di Roma ancora festeggia la generosa donazione ricevuta dal presidente dell’Azerbaigian per riprendere gli scavi della via Alessandrina nella zona archeologica dei Fori Imperiali (ne avevamo parlato qui)in quel paese la repressione nei confronti degli attivisti per i diritti umani prosegue senza sosta.

L’ultima a essere stata presa di mira è Leyla Yunus, presidente dell’Istituto per la pace e la democrazia, fermata il 30 luglio da uomini in borghese nella capitale Baku e costretta a salire su un’automobile. Si stava recando a una conferenza stampa per promuovere la campagna per il boicottaggio dei primi Giochi europei, una sorta di Olimpiade continentale, assegnati proprio all’Azerbaigian per il 2015.

Dopo ore in cui se ne erano perse le tracce, dalla Procura hanno chiamato il marito, Arif Yunus, avvertendolo che sua moglie si trovava in quegli uffici.

Alla fine della giornata, Leyla Yunus è stata condannata a tre mesi di detenzione in attesa del processo mentre a suo marito è stato vietato di lasciare Baku.

Le incriminazioni di cui Leyla Yunus e suo marito dovranno rispondere sono le solite, false e pretestuose, con cui le autorità azere cercano di zittire ogni forma di dissenso: tradimento, frode, evasione fiscale.

Nei mesi scorsi, Leyla Yunus era stata convocata più volte in procura e interrogata in relazione al procedimento penale avviato nei confronti del giornalista indipendente Rauf Mirgadirov, accusato pretestuosamente di spionaggio per l’Armenia. Aveva rifiutato di rispondere a ogni domanda fino a quando non le era stato restituito il passaporto, confiscatole il 28 aprile insieme a quello del marito.

Il giorno prima dell’arresto, aveva scritto una lettera aperta al presidente Ilham Aliyev.

Tragicamente, più la repressione s’intensifica, più la politica di pubbliche relazioni dell’Azerbaigian risulta efficace. Il mondo tace, riceve gas, intasca soldi e ride.

Intanto, i prigionieri di coscienza registrati da Amnesty International sono saliti a 19.

Nessuno pare trovare stridente questo stato di cose con la circostanza che l’Azerbaigian è presidente di turno del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che dovrebbe occuparsi del rispetto dei diritti umani nel nostro continente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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