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Avoid Shooting Blacks. Le arance insanguinate di Rosarno

Un anno fa, a Rosarno, la rivolta degli immigrati contro le mafie.

"Avoid shoting blacks". Il verbo to shoot con una sola "o". Chi l'ha scritto in Italia c'è arrivato per sbaglio. Un incidente in un percorso forse destinato verso altre mete europee, magari nato nella periferia di qualche megalopoli del Ghana o della Nigeria. La lingua che parla l'autore di quella scritta, forse l'unica che conosce, è l'eredità di una dolorosa storia coloniale che dovrebbe servire almeno ad aprire le porte del mondo, ma non qui in Italia... non al sud.

20/25 euro al giorno seguendo il ciclo stagionale della raccolta, in giro per l'Italia, la paga dei braccianti immigrati che raccolgono pesche, albicocche e pomodori all'inizio dell'estate, uva e olive tra settembre e novembre, agrumi in inverno, gli ortaggi quasi tutto l'anno nei campi e nelle serre. Quando non lavorano la terra, i più fortunati trovano qualcosa da fare nei cantieri edili e, quasi per le stesse cifre, fanno anche i facchini. E' una catena imprevedibile, fatta di sms e telefonate sui cellulari, capace di spostarsi da una regione all'altra, in un solo giorno, a seconda della difficoltà a trovare lavoro nel tempo della crisi, che oggi pagano anche gli immigrati "privilegiati", quelli che lavorano nell'indotto delle fabbriche del nord, licenziati per primi, perchè precari e stranieri.

Bisogna andare nei campi per vederli, oppure alle 4 del mattino nelle piazze degli schiavi, sulle rotonde tra Castel Volturno e Rosarno, tra la piana del Sele, il litorale domizio e la provincia di Foggia, dove si radunano i kalifoo (gli schiavi a giornata) sperando di essere scelti dai caporali. 

La sera poi ritornano nei ghetti dove sono costretti a vivere, nei casolari abbandonati situati spesso nello stesso podere dove lavorano di giorno, oppure negli edifici fatiscenti dei centri abitati, nei quartieri più marginali, a volte ammassati in fabbriche diroccate. Vivono aiutandosi tra di loro, condividendo la cena ed un bicchiere di tè. Quando ti mostrano orgogliosi i telefoni cellulari con le foto delle loro fidanzate, o dei loro parenti, vuol dire che il loro cordone ombelicale con il mondo è ancora saldo, che il loro progetto migratorio sta ancora tenendo a bada il rischio del fallimento. Per molti è solo una tragica illusione, ma tanto basta.

Quella scritta diceva tutto, "Non sparate ai neri", e fece il giro del mondo, dopo una rivolta che ha cambiato la storia dell'immigrazione in Italia.

In due giorni, il 7 e l'8 gennaio di un anno fa, a Rosarno è accaduto che una comunità di immigrati dell'Africa subsahariana, principalmente ivoriani, ghanesi, nigeriani, burkinabè, ma anche qualche magrebino e sudanese, è stata cacciata da una comunità di "italiani" perché ha osato ribellarsi alla violenza razzista e mafiosa, in quello che è stato il primo vero scontro etnico della storia recente del nostro paese. 

E' iniziato così il 2010, l'attentato contro la Procura di Reggio Calabria del 3 gennaio e, pochi giorni dopo, gli scontri di Rosarno; nel segno delle bombe, dell'attacco alle istituzioni dello Stato, del razzismo e della Mafia.

Tanto più grave l'attentato di Reggio Calabria, a cui è seguito il 21 gennaio il ritrovamento di un'auto piena di armi e bombe, durante la visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; la bomba contro la casa del giudice Di Landro ad agosto, ed il ritrovamento di un bazooka davanti la sede della Direzione Distrettuale Antimafia ad ottobre; se si considera che proprio dalla procura reggina si diramano alcuni dei più importanti filoni di indagine sul livello occulto dei rapporti tra mafie, politica e finanza, il terzo livello che arriva fino al cuore segreto del paese, l'altra metà della storia che ancora non si può raccontare.

Per cambiare registro all'informazione mainstream, dopo l'attentato del 3 gennaio, sono state necessarie le immagini dei cassonetti e delle macchine rovesciate dai lavoratori stranieri a Rosarno, il ministro della difesa Ignazio La Russa che dal Tg2 diceva che c'era stata "Troppa tolleranza" e l'annuncio dell'invio dei rinforzi per espellere gli irregolari, da parte del ministro dell'Interno Maroni, mentre gli immigrati venivano braccati come animali, presi a bastonate dagli uomini delle 'ndrine e altri due africani venivano gambizzati. 

Alla fine si sono contati 14 feriti tra gli immigrati e 18 tra le forze dell'ordine. 1128 braccianti stranieri sono stati allontanati da Rosarno, tra questi molti che dovevano ancora essere pagati per il lavoro di raccolta. 428 furono portati nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Crotone e 400 in quello di Bari. 300 invece, tornarono verso nord con i treni. 

E' toccata proprio alla Calabria, da secoli terra d'approdo e d'accoglienza, la sorte di regalare al paese il primo e più grave frutto avvelenato di una decina d'anni di politiche della paura concepite sull'equazione immigrazione=criminalità. In confronto a quello che è successo a Rosarno è impallidito persino il precedente della rivolta degli immigrati di Castel Volturno, dove la disperazione e la rabbia dopo l'assurda strage dei sei ghanesi, il 18 settembre 2008, si è scaricata sugli oggetti, sui cassonetti, sulla segnaletica stradale, su alcune auto, ma non contro gli "italiani".

A Rosarno, come è stato detto nelle Tv e sui giornali, forse sarà stato anche un balordo a sparare con un fucile ad aria compressa caricato a pallini, contro due immigrati, qualcun altro però ha sparso la voce (rivelatasi infondata solo il giorno dopo) che altri quattro immigrati erano stati uccisi a fucilate, e bisogna chiederselo perché la collera degli immigrati si è riversata contro una intera popolazione.

Durante la caccia al nero, in due giorni di follia, venne arrestato Antonio Bellocco. Una telecamera fissa lo immortalò mentre prendeva prima a sprangate un immigrato e poi aggrediva un carabiniere che cercava di fermarlo. Con l'ordinanza di custodia emessa nell'ambito dell'operazione "Rosarno è Nostra 2", del 12 gennaio 2010, abbiamo poi appreso che che Antonio Bellocco, figlio del boss Giuseppe Bellocco, all'ergastolo con il 41 bis, è un esponente di primo piano della famiglia mafiosa dei Bellocco, alleata alla 'ndrina dei Pesce. Non una testa calda qualsiasi...

Vincenzo Macrì, procuratore nazionale antimafia, pochi giorni dopo gli arresti di elementi collegati alla 'ndrangheta, dichiarò alla stampa che nelle indagini era stata presa in considerazione anche l'ipotesi che la rivolta fosse stata provocata per dirottare l'attenzione dell'opinione pubblica dall'attentato di pochi giorni prima a Reggio Calabria.

Anche le altre ipotesi fatte per tentare di spiegare come fosse possibile che un "balordo" abbia potuto permettersi di mettere a repentaglio la tranquillità degli "affari" di Rosarno, ovvero mandare a monte la raccolta delle arance e delle clementine per alzarne il prezzo di mercato, oppure liberarsi degli immigrati africani per non pagarli, a causa della crisi del settore che ha visto molti produttori lasciare i frutti sugli alberi; vedrebbero sempre al centro gli interessi ed il controllo del territorio da parte delle 'ndrine dei Pesce e dei Bellocco.

Non è stata la prima volta che la violenza mafiosa si accaniva contro gli stranieri a Rosarno. Quando gli immigrati avevano già sostituito i braccianti italiani nelle campagne furono gambizzati due immigrati, nel 1990 e nel 1991, e l'11 febbraio del 1992 vennero uccisi due algerini a Rosarno.

La ''ndrangheta controllava già allora tutto il mercato delle braccia e l'intera filiera della produzione agricola, e doveva piegare la volontà dei nuovi schiavi con il terrore, per costringerli ad accettare condizioni disumane di lavoro, paghe da miseria, e poi cacciarli via quando finiva la stagione della raccolta. Accadeva nello stesso tempo anche nelle campagne del casertano, a Villa Literno, nel 1989, con il brutale assassinio di Jerry Masslo, che mise fine ai primi scioperi dei braccianti immigrati organizzati dalla CGIL.

C'era stata già una rivolta a Rosarno, l'11 dicembre del 2008, quando due immigrati vennero gambizzati a colpi di pistola. Accadde due mesi dopo la strage dei sei immigrati sulla domiziana, ma gli immigrati in quell'occasione scesero in piazza pacificamente e si recarono in massa dai carabinieri a denunciare. Tra loro c'erano anche dei ghanesi e dei nigeriani che avevano partecipato alla rivolta di Castel Volturno. Finì in carcere Andrea Fortugno, un ventenne definito dalla stampa un "cane sciolto" con alcuni precedenti penali. Si disse che era uno che forse voleva entrare nelle 'ndrine locali. Anche in quell'occasione la Destra cercò di calvalcare la protesta contro gli immigrati, e qualcuno arrivò ad esporre uno striscione nella piazza del Municipio con la scritta "Fortugno Libero".

Andrea Fortugno deve aver fatto carriera da allora, perchè lo scorso novembre è stato nuovamente arrestato nell'ambito dell'operazione All Inside 2, che ha colpito i clan Pesce e Bellocco, culminata in 24 arresti tra cui anche due carabinieri. 

Ma la piana di Gioia Tauro non è stata solo terra di andragathoi (dal greco antico: uomini valenti e fieri), come la famiglia Pesce, che già quarant'anni fa controllava tutto il commercio degli agrumi, prodotti nei "giardini" realizzati con l'antico sistema di coltivazione basato sui canali che risale alla presenza araba nella regione. E' stata anche terra di importanti lotte antimafia.

Nel libro di Antonello Mangano, "Gli africani salveranno l'Italia", l'ex sindaco di Rosarno e parlamentare Giuseppe Lavorato, dal 1993 al 2003 a capo di una delle più coraggiose e nobili esperienze amministrative antimafia in Calabria, non esita a collocare la prima protesta degli immigrati del 2008, con la denuncia collettiva che portò all'arresto di Andrea Fortugno, nel solco delle lotte antimafia come "il primo consapevole movimento antimafia della piana di Gioia Tauro dopo anni di Silenzio".

Nel 1950, con la riforma agraria, mille ettari di bosco furono occupati e divisi tra i contadini e braccianti della piana di Gioia Tauro per essere trasformati in agrumeti che diventarono la principale fonte di ricchezza di Rosarno.

A partire dagli anni '70, con il crollo del prezzo degli agrumi, dovuto all'ingresso nel mercato europeo delle arance prodotte in altri paesi del mediterraneo, e la realizzazione del porto di Gioia Tauro, l'economia dell'intera area venne completamente sconvolta.

Impreparati a reggere una competizione basata sull'imposizione di prezzi sempre più bassi, i piccoli produttori, nel giro di pochi anni, finirono per consegnare i terreni e le aziende nelle mani delle 'ndrine dei Pesce e dei Bellocco che, anche grazie alle truffe all'AIMA, si impadronirono di tutta la filiera agricola della Piana.

La costruzione del porto di Gioia Tauro diede inizio al fenomeno della mafia imprenditrice calabrese, che in pochi decenni si è estesa dall'economia agrumicola al movimento terra, poi all'estrazione degli inerti per le calcestruzzi, al cemento, al controllo degli appalti, alle estorsioni, ai rapimenti, al traffico di droga, eroina prima e cocaina poi, al traffico delle armi dei rifiuti tossici, all'investimento finanziario nelle banche nei paradisi fiscali e nelle imprese del nord, etc.

La cosca reggina dei De Stefano, per poter entrare con i Piromalli negli appalti per la costruzione del porto, arrivò a sequestrare Paul Getty Jr. nel 1973, investendo poi il ricavato del riscatto nell'acquisto di automezzi necessari per l'affare del movimento terra delle imponenti opere di sbancamento.

E' un bio-potere, quello dei network mafiosi di oggi (quelli calabresi più di tutti), che gli immigrati conoscono molto bene, subendolo nelle forme peggiori del comando e del controllo del lavoro senza diritti sui campi e nei cantieri. Un potere basato fortemente sull'identità etnica e sul clan familiare, non sulle regole impersonali scritte sulla carta degli stati moderni.

I braccianti immigrati che si sono rivoltati a Rosarno sono stati più coraggiosi di noi, perché per loro ribellarsi contro lo Stato o contro le mafie, in quei territori, non fa nessuna differenza. Quando si ribellano, o provano farlo, anche sbagliando nei metodi, a Castel Volturno, a Rosarno, Villa Literno, Afragola, San Nicola Varco, mettono a nudo i poteri nei nostri territori, quello che noi stessi accettiamo pensando che sia normale, e ci mostrano la realtà di miseria ed assenza di libertà in cui viviamo.

A Rosarno qualcuno forse ne era consapevole di questo significato, ha intuito che quello che è successo era la ribellione a qualcosa di diverso e molto più complesso del razzismo e dello sfruttamento sul lavoro, e forse sapeva che non sarebbe stato dimenticato facilmente, in un paese che invece dimentica tutto in fretta. Sta lì a dimostrarlo un'altra scritta. Quella che qualcuno, prima di andare via, ha aggiunto sotto "Avoid shooting blacks". Dice We will be remembered. We will never forget this!!! ("Noi saremo ricordati. Non non dimenticheremo questo!!!")

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