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Atac: i numeri dell’assenteismo

Il 2018 è stato un anno molto importante per Atac, la municipalizzata di trasporto pubblico locale di Roma. È stato chiesto ed ottenuto dai creditori il concordato, salutato dalla sindaca Virginia Raggi e dai suoi come un evento a metà tra l’apertura delle acque del Mar Rosso e la scoperta della pietra filosofale. 

Tra i buoni propositi legati, almeno indirettamente, alla procedura concorsuale, c’era anche il controllo dell’assenteismo che piaga la municipalizzata. A giudicare dal consuntivo dell’anno, l’effetto è stato effettivamente eclatante ma non nel senso sperato.

Ne ha scritto ieri il Messaggero, nelle pagine romane, citando il report annuale delle assenze.

Nel 2017 il tasso complessivo tra gli 11.411 dipendenti della partecipata aveva raggiunto quota 12,52%. Nei 12 mesi dell’anno scorso, in piena procedura concordataria, è salito al 13,22% (ferie escluse) con il picco del 14,22% raggiunto nel terzo trimestre (luglio-agosto-settembre). Le malattie hanno pesato per il 5,87% (il massimo è stato raggiunto tra gennaio e marzo con il 6,82%), con un incremento annuo del 9,7%. I permessi per la legge 104 hanno sfondato quota 3%, salendo del 13%.

Sono numeri su cui servirebbe riflettere, perché indicano che in questo paese ci sono ambiti in cui la popolazione ha seri problemi di salute. La legge 626, pietra miliare delle conquiste del lavoro, qui pare passata invano. E il disagio si riverbera anche ai nuclei familiari, come attesta il boom di permessi ex legge 104. In media, ogni giorno (su un organico medio di 11.192 dipendenti), ad Atac si sono ammalati in 1.480. Di cui 729 conducenti di bus e tram su un totale di 5.639, e una settantina dei 500 macchinisti della metropolitana.

Il 2018 è stato quindi un anno durissimo, per la salute dei dipendenti Atac.Possiamo ipotizzare che i medesimi abbiano pesantemente somatizzato la forte preoccupazione per la situazione del loro datore di lavoro, visto che il rapporto segnala che il tasso di assenteismo è risultato in salita nei primi tre trimestri.

Ma c’è anche speranza, terapeuticamente parlando. Si segnala infatti che nel quarto trimestre, cioè dopo la richiesta di concordato, il tasso di assenteismo è lievemente calato: dal 12,82% al 12,67%. Un lieve ma importante miglioramento delle condizioni psicofisiche del personale Atac, che suggerisce che il concordato ha avuto effetti benefici sulla popolazione aziendale, unitamente al fallimento del referendum di novembre ed al prolungamentodal 2019 al 2021 del contratto di servizio senza eventi severamente ansiogeni come sarebbe stata una messa a gara.

Anche l’eclatante utile di 5,2 milioni di euro, nel primo semestre 2018, frutto del mancato servizio del debito (conseguenza del concordato), ha ridato serenità all’ambiente aziendale dimostrando che, all’occorrenza, Atac riesce anche a confrontarsi assertivamente con disumane metriche capitalistiche, quali appunto i profitti.

Ripartiamo da qui, col cuore gonfio di speranza ma senza farci travolgere dall’emozione. Lo dico soprattutto ai dipendenti Atac, ad evitare che questa buona notizia li scompensi emotivamente, portando a nuove impennate del tasso di morbilità.

Questa cagionevolezza del personale, sommata a quella dei mezzi, anche nel 2018 ha causato un lieve buco nell’offerta di chilometri all’utenza, per chi è ossessionato dai “freddi numeri” ed insiste a non guardare la dimensione umana:

I dati disponibili sono relativi ai primi 10 mesi del 2018. La performance peggiore è quella fornita da bus, tram e filobus. A fronte di 84.322.044 chilometri di percorsi programmati, ne sono stati effettuati 70.682.523: vale a dire che 13.639.521 di chilometri sono saltati. Tradotto: tra guasti, problemi tecnici e in parte assenza di personale, il 16,18% delle corse non è stato effettuato. Ossia una su sei. L’incremento di corse soppresse rispetto allo stesso periodo del 2017 è pari al 12,3%.

È tuttavia andata molto bene alla metropolitana, che nel 2018 ha perso solo 253.084 chilometri, contro i 494.844 persi nel 2017. Sono indici di efficienza praticamente giapponesi, per i quali ci rallegriamo ma che dovrebbero anche farci riflettere sulla crescente alienazione che le richieste della nostra società neoliberista infliggono ai lavoratori.

Ora che il concordato è stato approvato dai creditori, siamo fiduciosi che la ridotta azione ansiogena delle condizioni aziendali si rifletterà in ulteriori miglioramenti delle condizioni sanitarie. Ma occorre attenzione, non trionfalismo. Al venir meno delle preoccupazioni per il proprio futuro lavorativo, molti dipendenti Atac potrebbero rapidamente sviluppare una sindrome ancor più corrosiva: la noia. Che finirebbe a spingerli a trovare sollievo fuori dal contesto aziendale, durante l’orario di lavoro. Si ponga quindi massima attenzione a trovare il giusto equilibrio, se nel 2019 si vuole puntare ad un assenteismo nipponico del 12%.


NB: per chi si stesse chiedendo come quadrino i numeri, dovete sapere che le categorie di classificazione delle assenze sono: malattia, infortunio, congedi parentali, maternità, permessi ex legge 104 ed una interessante categoria solo in apparenza residuale, denominata “altri motivi”, che tuttavia per Atac contribuisce in media all’1-1,5% dell’indice di assenteismo. Verosimile che in questa categoria rientrino permessi sindacali, rapimenti alieni o la coda all’ufficio postale o al mercato/supermercato di prossimità, tali da prolungarsi a volte oltre l’orario di lavoro.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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