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 Home page > Tribuna Libera > Aspettare o andare divisi sarebbe un suicidio

Aspettare o andare divisi sarebbe un suicidio

Quando se ne potrà parlare con il necessario distacco, risulterà chiaro che, al di là dell’esito della loro iniziativa, a Falcone e Montanari va riconosciuto il merito di aver lanciato precocemente l’allarme: in in questa Unione Europea, portavoce delle banche e degli interessi dei più forti, nelle condizioni in cui versa il Paese, con un Parlamento privo di legittimità politica e morale e il fascismo che rinasce, le imminenti elezioni politiche sono un pericoloso tornante della storia e in gioco ci sono la Costituzione e la democrazia. Non a caso, del resto, Anna Falcone è stata in prima linea nella battaglia per il no e Tomaso Montanari è figura di primo piano di “Libertà e Giustizia”.
D’accordo, si sono fidati di autentici banditi e nelle loro “cento piazze” l’accento è forse caduto soprattutto sui “diritti civili”; forse la gente cui hanno parlato teme anzitutto una svolta autoritaria, non frequenta piazze infuocate e non è fisicamente a fianco delle classi sociali più pesantemente colpite dalla crisi. Sarebbe sbagliato, però, pensare che è gente indifferente ai loro problemi e alla loro sorte. L’Italia è un Paese complesso e quelle piazze rappresentavano una delle componenti di tale complessità. E’ innegabile, però, che erano pronte a dare battaglia per il cambiamento e non si sarebbero tirate indietro nella difesa di tutti i diritti calpestati. Non c’è dubbio, perciò: da soli, coloro che si sono raccolti attorno all’appello del Brancaccio non avrebbero potuto farcela ma chi riprende e continua quel lavoro, non può farne a meno, deve riuscire a parlare con quella gente.
L’appello lanciato dall’Ex Opg je so’ Pazzo al teatro Italia di Roma ha radunato un’altra componente della complessa realtà italiana, quella che, senza ignorare la terribile crisi della democrazia, sente sulla propria pelle le conseguenze di un’altra crisi, quella economica, prodotta dal capitale finanziario, il più forte elemento di coesione della nostra borghesia.
Una crisi gestita con rara ferocia da governi moralmente e politicamente illegittimi, quanto e più dei “nominati” che, accampati in Parlamento, votano la fiducia. Due crisi che costituiscono il rovescio di un’unica medaglia, perché storicamente il fascismo – o in senso più lato i governi della destra autoritaria – è il regime del capitale finanziario, soprattutto in tempi di crisi.
Al Teatro Italia era presente chi difende la Costituzione, ma conosce più direttamente i colpi della reazione e della sua ideologia: il mito dell’infallibilità del mercato (un’astrazione dietro la quale ci sono i padroni), la teoria delle scelte obbligate e delle necessità oggettive: flessibilità, riduzione del costo del lavoro, licenziamenti e chi più ne ha più ne metta.
Questi due mondi non sono estranei tra loro e bisogna prenderne atto: o chi ha seguito Falcone e Montanari va con gli altri allo scontro, o saranno entrambi battuti perché i governi “tecnici” e liberali, feriscono profondamente, ma non ammazzano e non bastano a piegare la gente; occorre un regime che raccolga in un sol fascio le diverse anime della reazione. Non facciamo questioni di purezza e non puntiamo il dito l’uno contro gli altri. La dottrina fallimentare che s’inventò il social fascismo ha già fatto storicamente i suoi gravissimi danni e la fine dei fratelli Rosselli dovrebbe avere insegnato qualcosa.
C’è un ultimo dato da considerare. Al di là delle realtà radunate nei due teatri romani, destinate a marciare assieme o perire, non esistono posizioni intermedie. Chiunque in questa situazione pensa di poter stare alla finestra a guardare per intervenire poi a cose fatte, è condannato a sparire politicamente. Non c’è tempo per aspettare.
Non c’è più tempo. Oggi si va costruendo una resistenza. Se sarà possibile si proverà a farla in Parlamento, sennò ci si sarà messi assieme per una lotta molto più dura. Altra via non è data.
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