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Argentina inflazione, meno sovranità, più realtà

La settimana scorsa il governatore della banca centrale argentina ha annunciato un ulteriore passo verso la “normalità”, l’adozione di un obiettivo di tasso d’inflazione (inflation targeting), fissato al 12-17% per il 2017, a 8-12% per il 2018 ed il raggiungimento dell’obiettivo inflazionistico del 5%, con tolleranza di 1,5% in più o in meno, nel 2019. L’Argentina tenta quindi di lasciarsi alle spalle la lunga fase di monetizzazione a oltranza del deficit pubblico, attuata dalla presidenza Kirchner, e che aveva fatto esplodere il tasso d’inflazione. Al contempo, altri eventi e misure di politica economica indicano che il paese sta tornando nel consesso dei mercati internazionali. Probabile che ai sovranisti da terzo mondo tutto ciò suoni anatema.

Per raggiungere l’obiettivo di inflazione, è evidente che la banca centrale dovrà progressivamente smettere di finanziare il Tesoro argentino: ed infatti il governatore, Federico Sturzenegger, ha detto che nel 2016 l’istituto di emissione effettuerà trasferimenti al Tesoro pari al 2,1% del Pil, destinati a scendere il prossimo anno all’1,5%. Già questo dovrebbe indurre, a parità di ogni altra condizione, una frenata dell’inflazione. Date queste premesse, il governo argentino dovrà vedersela da solo o quasi con un eventuale sforamento degli obiettivi di deficit. Visto che l’Argentina è tornata ad indebitarsi sui mercati internazionali, dopo aver chiuso il contenzioso con i “fondi avvoltoio”, il governo di Buenos Aires potrà fare a meno della stampante della propria banca centrale, ma sarà disciplinato dal mercato globale. A voler essere realisti, potremmo dire che questo è già un elemento di attenuazione della leggendaria sovranità, o meglio del significato malato del termine, quello che pare andare di moda dalle nostre parti. Evidente, comunque che, in presenza di inflation targeting, se il deficit pubblico non sarà disciplinato, la banca centrale argentina sarà costretta a tenere stretto il credito. Ecco il morso della realtà.

Nel frattempo, il parlamento argentino ha approvato il progetto di legge sulle partnership pubblico-private, che negli intendimenti del governo Macri servirà a far affluire capitali esteri nel paese. La legge prevede che le autorità pubbliche mettano a gara concessioni di durata massima trentacinquennale per la realizzazione di infrastrutture, edilizia abitativa, servizi, investimenti produttivi, ricerca applicata ed innovazione tecnologica. Le concessioni saranno assegnate a partner privati secondo il meccanismo dell’asta al ribasso, e dovranno fissare un “ragionevole profitto”. Il voto del Senato ha mostrato una confortevole maggioranza pro-governativa, perché molti senatori di opposizione hanno votato a favore, in rappresentanza delle province. Fallito il tentativo di dare la precedenza alle imprese domestiche su quelle internazionali. Anche perché il paese ha disperato bisogno di capitali esteri, questa è la realtà. Anche per questo motivo nel disegno di legge è stato inserito l’arbitrato internazionale per la gestione del contenzioso. Altro duro colpo ai sovranisti argentini, che come zuccherino hanno avuto la concessione di controlli dei contratti da parte della corte dei conti nazionale.

Altro dato a conferma della fine dell’autarchia finanziaria argentina è quello del saldo delle partite correnti del secondo trimestre. Il deficit è cresciuto del 15%, causato soprattutto dal settore dei servizi, in particolare dal turismo, con aumento dei viaggi all’estero degli argentini che ha superato per esborsi gli ingressi turistici nel paese. Ai tempi della Kirchnernomics, un aumento del deficit delle partite correnti avrebbe causato nuovi feroci e creativi controlli valutari, con compressione delle importazioni. Oggi, grazie al ritorno dell’Argentina sui mercati internazionali, viene finanziato dall’emissione di debito: nel secondo trimestre, il paese ha avuto un surplus del conto dei capitali di 3,9 miliardi di dollari, grazie all’emissione di obbligazioni internazionali per ben 16,4 miliardi di dollari. Con un deficit delle partite correnti di 2,7 miliardi di dollari nel secondo trimestre, ciò significa che le riserve valutarie del paese sono aumentate quindi di 1,1 miliardi di dollari. Attenzione: non è il paese di Bengodi, è debito estero. Quindi servirà impiegare bene quei fondi, o la punizione sarà pesante.

Ma tutti questi episodi raccontano una cosa sola: la sovrana Argentina della galleria degli orrori di policy della Presidenta Kirchner è tornata alla realtà ed al mondo. Non sarà una passeggiata su un tappeto di rose: ci saranno e ci sono evidenti sofferenze, ma siamo al risveglio dal sogno populista divenuto incubo, quello dove la realtà non aveva diritto di cittadinanza.

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