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Anteprima inchieste di Report: mascherine, il segreto del Covid e penne da mangiare

Le inchieste di Report di questa sera si occupano della pandemia, toccando due argomenti che meritano un giusto approfondimento: lo smaltimento delle mascherine e certi documenti rimasti segreti sulla pandemia. C'è qualcosa che non sappiamo?

C'è anche spazio per parlare dell'alimentazione, con Bernardo Iovene e la sua inchiesta sulla pasta

Lo smaltimento delle mascherine

La giornalista di Report ha seguito i volontari di Greenpeace e ai ricercatori del CNR nel loro lavoro di monitoraggio delle microplastiche che si trovano nei mari, microplastiche frutto degli oggetti che usiamo quotidianamente.

 

 

 

L'aumento della plastica monouso sia per i dispositivi di sicurezza (le mascherine) sia anche per il delivery, aumenterà il quantitativo di rifiuti che, se non trattati correttamente, andranno ad impattare sull'ambiente marino.

Impattare significa trovare in fondo al mare le mascherine chirurgiche che indossiamo tutti i giorni: l'ISS ha stabilito che i dispositivi di sicurezza devono essere gettati nell'indifferenziata e poi inceneriti, eppure nei luoghi di lavoro non è raro trovare contenitori con codice UN 3291, contenenti materiale a rischio infettivo, che segue un percorso diverso.

Queste mascherine potrebbero anche finire in discarica: Valeria Frittelloni dirigente dell'Ispra spiega come, in effetti, questi rifiuti possano rientrare nel normale ciclo di rifiuti urbani, ma poi nelle fasi successive è previsto un doppio imballo, per differenziarle. Ma le persone lo sanno? Le aziende lo sanno? “Certo non c'è stata un ìnformazione capillare” ammette la dirigente.

La scheda del servizio: Lo smaltimento di Cecilia Andrea Bacci

 

Il politecnico di Torino stima che il fabbisogno di mascherine, in Italia, sia di oltre un miliardo al mese pari a circa 400 tonnellate di rifiuti prodotti ogni giorno. Indossate già nelle strutture sanitarie per proteggere pazienti e alimenti da possibili contaminazioni, sono entrate a far parte della nostra quotidianità, nei luoghi di svago o di lavoro fino ad arrivare nell'intimità delle nostre case. Ma seguono sempre lo stesso percorso di smaltimento? È possibile o auspicabile ripensare la filiera regalando una nuova vita a ciò che fino a ora è stato monouso?

 

Cosa non sappiamo del virus

Ci sono dei misteri dietro questa pandemia, non solo quello sulla sua origine.

Il nostro piano pandemico è fermo al 2006 e non è mai stato aggiornato, tra dirigenti smemorati e documenti fatti sparire. E così oggi i familiari delle vittime, alla luce di questi documenti scoperti da Report potrebbero iniziare un maxi risarcimento.

Il piano pandemico (di cui aveva parlato già Report in una passata inchiesta) prevedeva lo stoccaggio di tutto il materiale necessario, la pianificazione e l'esecuzione di esercitazioni per capire l'efficacia del piano a livello locale.

A Venezia, in un vecchio palazzo storico, alcuni ricercatori dell'OMS avevano redatto un rapporto uscito negli stessi giorni in cui lo stesso OMS mondiale lodava l'Italia per le azioni messe in campo.

Questo rapporto (“Una sfida senza precedenti, la prima risposta dell'Italia al Covid”), sparito subito dalla circolazione, aveva tutt'altro tono: era molto critico contro l'Italia e puntava il dito proprio sul piano nazionale contro le pandemie.

Rispetto ad altri paesi abbiamo messo in campo le misure opportune (e siamo riusciti a ridurre i contagi dopo pochi mesi di lockdown in primavera), ma con grave ritardo e in modo indifferenziato.

Come mai questo rapporto dei ricercatori veneziani è sparito? Forse perché avrebbe indirettamente tirato in ballo l'ex DG del ministero della salute Ranieri Guerra, oggi proprio all'OMS?

Assenza delle scorte per gli antivirali, assenza di dispositivi per medici e infermieri, assenza di test per scovare i positivi, gravi ritardi nella reazione delle regioni e del ministero della Salute.

“Il rapporto faceva una fotografia impietosa della situazione italiana” racconta una ricercatrice dell'OMS a Giulio Valesini “con aggettivi come improvvisata, caotica, creativa”.

Insomma, la fotocopia di quello che governo e regioni stanno facendo adesso con la seconda ondata, meno grave della prima certo, ma con uno scaricabarile veramente insopportabile.

Giulio Valesini ha intervistato Guido Marinoni, presidente dell'ordine dei medici di Bergamo, la provincia maggiormente colpita dalla prima ondata del covid: nessuna esercitazione è stata fatta in questi anni e questa è stata un'omissione gravissima, “abbiamo visto i risultati, è chiaro che è un'omissione, un piano è un qualcosa dove sta scritto chi deve fare che cosa, dove lo deve fare e quando lo deve fare. E un piano si prova.”

Eppure già nel 2010, con la pandemia per l'aviaria, la giunta Formigoni aveva valutato l'applicazione del piano pandemico del 2006 e fu giudicata critica.

Massimo Tedeschi, giornalista e autore del libro “Il grande flagello” spiega come nella relazione fosse indicato che non avevano funzionato le linee di comando, sono mancati i piani per i posti letto nei singoli ospedali, è mancato lo stoccaggio degli antivirali, dei medicinali dei sistemi protettivi. Non è stata potenziata l'assistenza domiciliare integrata, è mancato il supporto dei medici di base.

“C'è un punto che è veramente inquietante” prosegue Tedeschi “è mancato il rapporto con le RSA, le case di riposo per gli anziani.”

A distanza di quasi dieci anni è una autovalutazione quasi profetica, vedendo quello che è successo in primavera.

 

“Si, è impressionante perché tutte le lacune che allora si manifestarono di fronte ad una mite pandemia, col Sars Cov2, il Covid19 sono diventati problemi drammatici, che hanno avuto effetti esplosivi, effetti drammatici sulla popolazione lombarda.”

 

Nella delibera viene anche indicata la necessità di aggiornare e rivedere il piano che non aveva funzionato, ma non risulta che sia mai stato fatto alcun aggiornamento.

 

“La regione Lombardia ha in mano un piano che risale al 2006 e che nel 2010 era stato giudicato sostanzialmente fallimentare dalla stessa giunta regionale.”

 

Non possono dire non sapevamo di avere un piano vecchio a palazzo Lombardia: c'è stata discontinuità amministrativa nel senso che dopo Formigoni c'è stato Maroni e poi Fontana, ma agli atti rimane questo documento, che è un atto d'accusa molto pesante.

A Bergamo il covid ha fatto più di 3000 morti: in regione sapevano dell'inadeguatezza del piano, che non aveva tenuto nemmeno di fronte alla debole pandemia dell'aviaria.

La procura di Bergamo da mesi indaga sulle morti per il covid e i parenti delle vittime del virus hanno presentato degli esposti: Luca Fusco è presidente dell'associazione “Noi denunceremo”. Voglio arrivare alla responsabilità politica su quanto è successo, “partendo dalla mancata chiusura di Alzano e Nembro e arrivando al piano pandemico che manca, tutto quello che c'è in mezzo è una gestione eroica di medici, infermieri, operatori sanitari, guidatori delle ambulanze, che hanno cercato di fare quello che potevano. Con quello che avevano. E' per questo che continuiamo ad insistere sulla responsabilità politica”.

Consuelo Locati è la legale dell'associazione: al giornalista di Report anticipa la volontà di fare una class action in sede civile.

Infine il mistero del nuovo libro del ministro Speranza, “Perché guariremo” edito da Feltrinelli: doveva uscire il 22 ottobre ma poi è stato tutto rimandato. Come mai? In una libreria parlano di questione politica, il libro è in magazzino ma non si può distribuire. Forse potremo leggerlo il 30 novembre.

L'incipit del libro è questo “Non ci sono dubbi. Guariremo.”

La scheda del servizio: Virus e segreti di Stato di Cataldo Ciccolella, Giulio Valesini in collaborazione di Roberto Persia

 

Perché l'Organizzazione mondiale della sanità censura un suo documento, critico della gestione italiana della pandemia? Report svelerà i retroscena e i conflitti di interesse che mettono in pericolo la credibilità dell'Oms. Attraverso documenti esclusivi sarà rivelata anche la storia del piano nazionale del Comitato tecnico scientifico del ministero della Salute, partorito con ritardo e rivelatosi una semplice analisi di scenari senza veri obiettivi gestionali. Secondo le stime elaborate dal Generale Pier Paolo Lunelli e depositate al Tribunale di Bergamo, almeno diecimila morti si sarebbero potuti evitare. Chi pagherà ora e quali rischi corrono i dirigenti che non hanno aggiornato per anni il piano pandemico italiano?

 

La pasta degli italiani

Paradossalmente, noi italiani siamo un popolo di pastasciuttai, ma sappiamo poco della pasta che mettiamo in tavola ogni giorno.

Ci siamo mai chiesti da dove viene il grano, come è stata prodotta quella pasta? E chi si mette a controllare le etichette per capire da dove viene il grano, che sistema di essiccazione ha subito, dove è stata prodotta? Pensiamo che la pasta rigata sia meglio perché trattiene meglio il sugo. Ma è così?

Colpa nostra, della nostra pigrizia, colpa anche dei marchi che ne approfittano per ingannare i consumatori. Una nota marca, mesi fa nella sua reclame parlava di grano rigorosamente italiano. Poi il grano era diventato anche nord americano.

Mangiate un piatto di pasta e vi sentite subito gonfi? Beh a volte dipende anche dalla qualità della pasta, come ci racconterà Bernardo Iovene nel suo servizio.

Si parte dal processo di essiccazione: che differenza c'è tra pasta essiccata lentamente e quella essiccata in modo veloce ad alta temperatura? Il giornalista lo ha chiesto ai coniugi Latini, produttori della pasta marchigiana: si prende della pasta essiccata a 18 ore, a 9 ore e una commerciale essiccata in modo veloce, si prende un bicchiere d'acqua e la si mette dentro per 12 ore.

La pasta commerciale non ha perso forma e colore, quella a 9 ore non ha perso la consistenza, quella a 18 ore si è squagliata, è ritornata pasta, si ritorna a semola di grano duro e acqua. Cambia anche la qualità, la tenuta alla cottura, dicono gli chef.

 

 

 

La pasta di Gragnano veniva essiccata col vento di mare, il maestrale che arriva a mezzogiorno: questa storia è scritta nero su bianco anche nel disciplinare dell'IGP , dove addirittura l'altezza dei palazzi era tale da consentire l'arrivo dell'area dal mare. Ma oggi le cose sono cambiate, coi palazzi cresciuti tutto attorno: così negli anni nello stesso disciplinare è consentita l'essiccazione in un range più ampio, da 4 a 60 ore. Così alcuni pastifici piccoli sono usciti dal consorzio, come Pepe e Faella.

Il presidente del consorzio è Antonio Di Martino, proprietario della pasta Amato e di altri marchi: “alcuni pastifici ci avevano evidenziato problemi a far essiccare la pasta sei ore in alcuni periodi dell'anno”, ha spiegato a Iovene.

Ma come fa il consumatore a distinguere la pasta, se la durata del processo di essiccazione non è scritta? Si arriverà ad accorciarla ancora?

Iovene lo ha chiesto all'ambasciatore della pasta di Gragnano nel mondo, don Alfonso Iaccarino: quali sono le caratteristiche della pasta di Gragnano nel mondo?

 

“Gli faccio vedere la differenza tra le paste industriali e quelle prodotte a Gragnano, come il profumo, dovuto al metodo di essiccazione che è diverso, una maggior cura negli acquisti della materia prima.”

 

Ma se ora il disciplinare consente un processo fino a 4 ore? C'è qualcuno che spinge nella direzione opposta: “Io sono ambasciatore di 60 ore”.

Altra questione la provenienza del grano: leggere pasta italiana non vuol dire niente, si deve leggere da dove arriva il grano e spesso è scritto in modo poco chiaro, dietro la confezione, “paese di coltivazione: UE e non UE”, come fa lidl.

Tutte rispettano il regolamento europeo, ma il garante della concorrenza ha avviato una istruttoria sui marchi De Cecco, Divella, Auchan, Cocco e Lidl.

Iovene si è comprato 50 pacchi di pasta con etichette poco chiare e li ha portati nell'ufficio del garante: come mai sotto la sua lente sono finiti solo 5 marchi? “Queste non le avevo mai viste” la candida ammissione del funzionario dell'Authority.

La scheda del servizio: Liscia, rigata, Ue, non Ue di Bernardo Iovene in collaborazione di Greta Orsi

 

La pasta rigata, scelta dal 90% degli italiani, vince sulla liscia che è agli ultimi posti nelle vendita tra i formati di pasta. Apparentemente è una questione di gusto, ma gli esperti, i maggiori chef e gli stessi pastai affermano il contrario. La pasta liscia è più buona e trattiene il condimento più della rigata se trafilata al bronzo ed essiccata lentamente. Invece gli italiani, che vantano il primato mondiale del consumo, mangiano una pasta trafilata al teflon, con tempi di essiccazione veloci. L’inchiesta inoltre tratterà della provenienza dei grani e della trasparenza delle etichette: l’Antitrust ha emanato cinque provvedimenti sui marchi nazionali di pasta De Cecco, Divella, Cocco, Lidl e Auchan. Sulle loro etichette c’erano richiami all’italianità del prodotto in bella vista mentre la provenienza del grano da paesi Ue e non Ue appariva con caratteri microscopici nel retro. Infine Bernardo Iovene è stato a Gragnano dove ai piccoli pastifici è stato vietato l’uso della parola artigiano sulle etichette.

 

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