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Anteprima inchieste di Report: le regole per Natale, il deposito di antivirali, l’OMS e De Luca

Ci sono i talk dove ci si accapiglia sul colore delle regioni, sui ristoranti chiusi “ma perché non apriamo tutti”, dove si attacca il governo quando chiude tutto e dove si attacca il governo quando, come adesso, cede al compromesso con le regioni e alcune parti della maggioranza.

E poi c'è Report: non si parlerà del cenone, di quanti ospiti invitare, di quando celebrare la messa di Natale.

Nei servizi andati in onda questa estate Report ci ha raccontato cosa è stato fatto di sbagliato, per questa pandemia e cosa non è stato proprio fatto.

Se avessimo avuto un piano pandemico.

Se avessimo gestito con minore improvvisazione la prima ondata.

Se avessimo gestito meglio la sanità nelle regioni.

Se il governo e i presidenti di regione non avessero ceduto alle aperture sia questa estate sia ora.

Se si fosse gestito meglio il rientro a scuola a settembre.

Se, se se .. a futura memoria, anche perché su alcune storie sono aperte delle inchieste, come quella di Bergamo sulle morti per covid a marzo e aprile.

Anche perché questo virus non ci abbandonerà presto, nemmeno ora che arriveranno le prime dosi del vaccino, per cui potremmo arrivare a spendere anche 1,5 miliardi di euro (e diventa dunque estremamente importante essere certi della loro efficacia).

Ma le notizie su questo virus e l'atteggiamento della politica muta alla stessa velocità in cui muta il virus, con l'ultima versione inglese che torna a spaventare l'Europa, prima di un Natale che non ci dimenticheremo facilmente.

Il rapporto che non doveva esistere

Il ricercatore dell'Oms Zambon è uno degli autori del rapporto redatto a maggio e che analizzava in modo critico la prima gestione italiana della pandemia. Il rapporto avrebbe messo in imbarazzo l'Italia e il ministro Speranza e così, l'Oms (e il suo direttore aggiunto Ranieri Guerra) avrebbe fatto pressioni prima per togliere alcuni riferimenti al rapporto, per esempio la data del piano pandemico, che l'Italia non aggiornava dal 2006. E poi facendo sparire dalla circolazione questo rapporto.

Una scelta politica da parte di un ente terzo che dovrebbe essere autonomo nelle sue decisioni e che invece ha scelto di essere “la consapevole foglia di fico” del governo italiano.

Nonostante questo, Zambon è andato a Bergamo a raccontare la sua versione davanti ai magistrati che hanno aperto un fascicolo, sulla strage in questa provincia per il virus.

 

Da un documento di cui Report è venuto in possesso, sappiamo che Tedros Ghebreyesus era stato informato su questo rapporto e su tutta la guerra, interna all'organizzazione per silenziarlo.

La scheda del servizio: I SEGRETI DELL’OMS di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella in collaborazione di Norma Ferrara

 

Esclusiva di Report: una mail prova che Tedros, il direttore generale dell'Oms, sapeva già dal 28 maggio della censura dello studio sulla gestione italiana della pandemia. Ma l'Oms, con la scusa della confidenzialità, ha rifiutato di rispondere sulle violazioni del proprio codice per la ricerca responsabile che sanziona la falsificazione dei dati e i conflitti di interesse. Una eccezionale intervista a uno degli autori del dossier ricostruirà cosa è accaduto davvero dentro l'Organizzazione mondiale della sanità e come il tentativo di censurare la verità si è trasformato in una catastrofe reputazionale per l'indipendenza dell'ente. Infine Report svelerà una delle ragioni chiave per cui agli autori del dossier è stato chiesto di non presentarsi alla Procura di Bergamo.

 

Lo sceriffo senza distintivo

Piaceva tanto De Luca, nei primi mesi della pandemia. Quel suo parlar colorito contro gli incoscienti che contribuivano alla diffusione del virus con i festini e le passeggiate. Poi però anche in Campania deve essere passata la voglia di riderci sopra anche perché i conti dei contagi, dei posti, non tornano (ed è uno solo che li fa e si da anche ragione – racconta Ranucci nell'anticipazione).

“Quanto siamo stati bravi” si dicevano gli uomini del presidente De Luca a settembre, negli appuntamenti per la campagna elettorale, dove i successi nella gestione della prima ondata venivano usati per la propaganda.

“Oggi se andate a Roma, Bologna e Venezia non ci sono più persone che fanno i sorrisini, quando si parla della Campania si alzano in piedi.”

Il simbolo della narrazione trionfale di De Luca sono le installazioni modulari pensate per aumentare i posti letto in terapia intensiva, partiti da Padova una mattina del 6 aprile scorso, arrivati nella serata a Napoli, tra gli applausi delle persone. Era l'apice del consenso di De Luca.

Queste strutture modulari sono state disposte nell'area di parcheggio dell'ospedale del mare a Napoli ma anche a Salerno e Caserta. Dopo qualche mese a Report sono arrivate immagini diverse: almeno uno dei prefabbricati di Napoli era abbandonato e chiuso.

Quelli di Caserta e Salerno fino a settembre inoltrato erano chiusi perché senza collaudo. Il presidente De Luca ha scelto di non rispondere alle domande del giornalista, troppo preso dalla campagna elettorale.

 

Danilo Procaccianti raccoglierà anche un'interessante testimonianza sull'acquisto dei respiratori polmonari, indispensabili per la terapia intensiva, ma poi sono rimasti bloccati perché non hanno superato il collaudo, perché il software che gira sui ventilatori è solo in tedesco, o medici e infermieri conoscono questa lingua oppure non possono funzionare.

Quanti sono i posti in terapia intensiva e i posti in degenza? “La Campania sarà una casa di vetro” assicurava il presidente in una delle sue dirette FB il 20 novembre.

Più che una casa di vetro, una casa di specchi, commenta il giornalista, perché si è data l'illusione di avere più posti letto di quelli reali e sono dati importanti perché, in base a questi numeri il governo decide il colore di una regione.

Il bollettino regionale indicava il 10 ottobre 110 posti in terapia intensiva e 820. Il 22 ottobre diventano 227 in terapia intensiva e 1114 di degenza: nei giorni successivi cambia una parola dentro il comunicato, non si indica più posti in terapia intensiva ma di posti “attivati” e quelli di degenza diventano 1550, sono 400 posti in più dal giorno alla notte.

Il 26 ottobre i posti non sono più attivati, ma “attivabili”; il 5 novembre un altro cambiamento, si parla di posti letto “disponibili”, i posti in TI diventano 590 (sempre disponibili) e ben 3160 in degenza.

Report ha intervistato il vice segretario regionale dei medici di base: “dal bollettino mi rendo conto che la situazione non è così grave, poi però quando viviamo quotidianamente il nostro lavoro e ascoltiamo con le nostre orecchie che non è possibile trasferire un paziente covid perché non c'è un posto in regione, ci chiediamo ma i 590 posti attivabili per la terapia intensiva dove sono? I 3160 posti di degenza dove sono?”

La notizia incredibile che la regione avrebbe mentito sui posti letto arriva anche da una fonte interna all'unità di crisi, il responsabile del 118 conferma che quei posti che la regione riporta come disponibili, in realtà sarebbero solo ipotetici.

A parlare è il dottor Galano , responsabile del servizio 118 in Campania: “quei posti devono essere riconvertiti”, se parliamo in termini di covid, quei posti non ci sono e questo spiega le file delle ambulanze fuori dai pronto soccorsi.

Sono posti che vengono però messi dalla regione in relazione al covid: “questo non lo deve chiedere a me..”

Al Cardarelli, l'11 novembre scorso, un uomo di 84 anni viene trovato morto nei bagni del pronto soccorso: anche di questo si occuperà il servizio di Danilo Procaccianti.

La scheda del servizio: TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE di Danilo Procaccianti in collaborazione di Edoardo Garibaldi e Roberto Persia

 

Il presidente De Luca ha condotto la sua campagna elettorale puntando tutto sui suoi presunti successi nella gestione della prima ondata della pandemia. Presunti, sì, perché l’indagine siero-epidemiologica condotta dall’Istat ha dimostrato che tutto il centro sud è stato graziato dal virus per via dei provvedimenti di lockdown. Poi è arrivata la seconda ondata e gli ospedali campani si sono trovati completamente impreparati. Addirittura il San Giovanni Bosco, un ospedale di Napoli che doveva essere completamente dedicato a Covid-19, è stato chiuso per lavori fino al 5 novembre.

 

Il piano di monitoraggio del covid

Zone rosse, zone gialle, un dpcm a settimana (o quasi), quasi 800 morti al giorno, gli ospedali al limite della situazione di crisi in diverse regioni d'Italia. Come siamo arrivati a questo?

Il servizio di Luca Chianca cercherà di capire cosa non ha funzionato sul monitoraggio dei contagi.

Si parte da Cosenza: qui il primo di dicembre in provincia c'erano 160 ricoveri in ospedale e 4033 positivi a casa mentre a luglio c'era 1 caso a domicilio. La responsabile di epidemiologia della ASP di Cosenza gli mostra i dati, la curva dei contagi che purtroppo mostra una crescita. Deve fare tutto a mano, non esistono programmi per il contact tracing: alla dottoressa De Luca arrivano i reperti compilati a mano, circa 700-800 referti al giorno, ad oggi ne ha inseriti nel sistema 5224, in totale tutti i referti sono oltre 65mila.

Difficile fare contact tracing in queste condizioni, con un foglio excel riempito manualmente e che poi viene girato ai colleghi medici sul territorio che devono fare l'isolamento: questo spiega perché oggi il numero dei ricoverati sia in aumento, in ospedali che non erano pronti a gestire questi numeri e dove diversi medici si sono infettati.

Il responsabile del dipartimento di prevenzione di Cosenza ha portato Luca Chianca alla centrale che chiama i cittadini con sintomi per fare il contact tracing: sono otto persone in una stessa stanza, in una situazione potenzialmente a rischio perché, come dice il dirigente, si fa fatica a trovare strutture.

Il giornalista è andato a visitare il laboratorio ad Aprigliano che conserva tutti i tamponi nei loro frigoriferi: grazie all'apertura di un nuovo laboratorio presso l'ospedale di Rossano assicurano di non aver più problemi a processare tutti i tamponi in arrivo: a Rossano processano 300 tamponi al giorni ma possono fare di più.

Il giornalista è stato testimone di una situazione strana, l'arrivo di una scatola di cartone piena di tamponi da Trebisacce, che non è stata portata subito a Rossano.

Perché a Cosenza no, non c'è il frigorifero – raccontano al giornalista – così sono andato ad Aprigliano .. sti tamponi ogni volta girano che ne so...”

 

Dalla Calabria alla regione Lazio: Report ha raccolto la testimonianza di Ilaria Ferri, che ha fatto il tampone il 6 novembre e ha ricevuto i risultati molti giorni dopo.

Il tampone è stato fatto al drive in di Casal Bernocchi: ha aspettato 20 giorni per il referto che è arrivato il 24 novembre. Quando quesot è arrivato ha scoperto che le analisi per la presenza del virus erano state fatte ben 10 giorni dopo il tampone: “Mi sono domandata, ma questi tamponi quanto sono affidabili dieci giorni dopo, venti giorni dopo?”

L'affidabilità dipenda da come viene conservato il tampone: l'ISS da indicazioni molto chiare, se il campione viene processato dopo 48 ore, deve essere conservato a temperature di -80 gradi. Ma quanti laboratori seguono questa indicazione?

Luca Chianca lo ha chiesto al San Raffaele della Bisano dove han processato il tampone di Ilaria: come mai il tampone è stato processato dieci giorni dopo?

“Abbiamo avuto un problema di smaltimento dei tamponi” la risposta della struttura.

Come viene conservato il tampone?

Va conservato a +4 gradi ..”

Di fronte al rapporto dell'istituto superiore della sanità, dove è scritto che i campioni possono essere conservato a 4 gradi per un periodo non superiore a 48 ore, la risposta è stata “questa è una cosa da rivedere.”

Luca Chianca si è rivolto così al presidente della regione Zingaretti e al suo assessore: l'intervista si farà, con calma, non c'è fretta.

Vogliamo sapere a quale temperatura sono conservati i campioni? “Questa è una domanda fa dare ai tecnici dei laboratori, sentiremo loro e si risponderà.. ”

La scheda del servizio: LA SORVEGLIANZA di Luca Chianca con la collaborazione di Alessia Marzi

 

I banchi monoposto per mettere in sicurezza le scuole sono costati ben due miliardi di euro. Però, passati solo due mesi dall'inizio delle lezioni, tutti gli istituti superiori sono stati chiusi. Cosa è mancato per evitare che i ragazzi tornassero alla didattica a distanza? E soprattutto cosa è mancato per evitare questa seconda ondata? Dalla Calabria al Lazio, al Veneto, passando per L'Aquila, definita la Bergamo d'Abruzzo dal presidente della Regione, Report cerca di capire chi doveva realizzare un vero e proprio piano di sorveglianza per monitorare, tracciare e isolare i nuovi contagi ed evitare che anche in autunno morissero altre 25 mila persone, quasi la metà dei decessi da inizio pandemia.

 

Dall'analisi delle acque reflue

Da quanto “gira” in Europa il coronavirus? Uno studio dell'istituto olandese KWR sulle acque reflue porta a pensare che fosse già in circolazione dal novembre 2019.

Il loro studio è iniziato lo scorso gennaio, quando si scoprì che chi è contagiato rilascia particelle di virus anche nelle feci: “ci siamo detti, se è nelle feci, possiamo andarlo a cercare alla fonte” - racconta il capo di microbiologia all'istituto FWR - “quindi abbiamo elaborato un metodo per trovare il virus in un campione di acque reflue.”

I primi campioni sono stati presi ad inizio febbraio quando il virus non è ancora comparso e infatti non trovano nulla: il 27 febbraio compare il primo caso e, a marzo, i ricercatori trovano tracce del virus nelle acque di Amsterdam.

I dati di questa ricerca coincidono con quelli dei tamponi: “se si guarda i nostri dati si vede benissimo la prima ondata, poi l'arrivo della seconda e ora, piano piano, la curva sta andando giù.”

Monitorare il virus nelle fogne, racconta Giulia Presutti, ha il vantaggio di captare in anticipo lo sviluppo della malattia perché le persone contagiate iniziano a rilasciare fin da subito il virus nelle feci, al contrario serve tempo affinché una persona contagiata sviluppi dei sintomi, contatti il medico, faccia il test e ottenga il risultato, spiega Gert Jan Medema di KWR, “noi siamo circa sei giorni in anticipo rispetto a quel risultato.”

Così a Rotterdam vengono controllati tutti i tombini della città e a monitorare le acque reflue sono gli ingegneri di Partners for urban water, società di consulenza, che conoscono a memoria il labirinto fognario: il loro compito è campionarle tre volte, tener presente dell'effetto diluizione quando arriva la pioggia.

Quello dell'istituto KWR è un progetto pilota, che in Olanda è stato ripreso dal governo: l'istituto di sanità pubblica ha lanciato un progetto di monitoraggio a tappeto dei 300 depuratori presenti nel paese.

Forse, anziché investire in app per il contact tracing (Immuni e le sue sorelle regionali), potremmo fare anche noi in Italia il contact tracing tramite l'analisi delle acque di scarico, per fermare i focolai prima che si espandano.

Aveva ragione De Andrè, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.

La scheda del servizio: LA SENTINELLA di Giulia Presutti con la collaborazione di Marzia Amico

 

Non c'è voluto molto, da quando è iniziata la pandemia, perché gli scienziati scoprissero che chi è affetto da Covid-19 rilascia particelle di virus anche nelle feci. In Olanda l’istituto di ricerca Kwr ha lanciato un progetto pilota: da marzo scorso monitora le acque reflue di Amsterdam e Rotterdam per scovare la presenza di virus nella comunità. Tutto per potenziare le attività di tracciamento e di screening della popolazione. Seguendo l'Istituto Kwr, il governo olandese ha avviato un monitoraggio a tappeto dei 300 impianti di depurazione del paese. In Italia l'Istituto Superiore di Sanità sta provando a fare qualcosa di simile: a giugno 2020 ha trovato tracce di Sars-Cov-2 in campioni prelevati a Milano e Torino addirittura a dicembre 2019. Quindi ha lanciato una call volontaria per tutti gli istituti di ricerca che vogliono collaborare allo studio delle acque reflue. Il progetto si chiama Sari, ma a che punto è? E l'Italia sta sfruttando appieno la potenzialità di uno strumento come le acque reflue, specchio di quello che succede nella società?

 

La App per il contact tracing siciliana

Prima della App di Stato, Immuni, la regione Sicilia ha rilasciato la sua di app per il contact tracing, Siciliasicura, sotto la regia di Guido Bertolaso, chiamato dal presidente della regione Musumeci per gestire la fase due della pandemia. Sono emerse subito le prime criticità: per usarla bisognava registrare su un portale i luoghi visitati, alcuni utenti hanno lamentato difficoltà a scaricarla dagli Store.

Poi è emerso che questa app registra la posizione degli utenti tramite GPS (e non solo i dati di prossimità), di fatto rendendola meno sicura di Immuni.

L'autorità garante della privacy, se venisse confermato l'uso illecito dei nostri dati, potrebbe stopparla o perfino sanzionare l'ente.

In un servizio precedente, Lucina Paternisi aveva raccontato che ad oggi sappiamo ancora in quanti l'abbiano scaricata, si sa solo è che è costata 80mila euro, via convenzione Consip, soldi pagati alla Ies Solutions, società romana con sede operativa in Sicilia, di proprietà del figlio dell'ex assessore alla provincia Cristaldi, ai tempi in cui Musumeci ne era presidente.

Questa app fa parte di un progetto più ampio, per seguire a distanza le persone (non solo i turisti) affetti da Covid: progetto da 800 mila euro in affidamento diretto senza gara.

La scheda del servizio: SICILIA SICURA di Lucina Paternesi con la collaborazione di Alessia Marzi

 

Anche la Sicilia, questa estate, si è fatta la propria app. Grazie all’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, chiamato dal presidente Nello Musumeci per la riapertura della stagione estiva, è nato il protocollo Sicilia Sicura: tra le altre cose, prevedeva un’app obbligatoria per chiunque volesse andare nell’isola a trascorrere le vacanze. Ma chi l’ha realizzata e dove vengono raccolti i dati dei turisti e degli utenti? Non solo un’app per turisti, in Sicilia da maggio scorso è attivo il progetto Telecovid19. Tramite un’app e device collegati, consente di seguire a distanza gli utenti affetti da Covid che non necessitano di ricovero in ospedale. Per il progetto, presentato dall’Irccs di Messina e approvato dall’assessorato alla Salute neanche 24 ore dopo, la Regione ha stanziato 800 mila euro, ma l’affidamento è avvenuto in modo diretto, senza alcun tipo di bando.

 

Tutte le anticipazioni sono state prese dalla pagina FB e dall'accout Twitter di Report

Questo articolo è stato pubblicato qui

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