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Animali, umani e visioni (parte II): Grugni e Masson

Avrei bisogno di capire se quello che sto facendo è giusto, se gli animali hanno bisogno di questo mentre la strage continua senza sosta. Strage che non verrà fermata da questo gesto perché la gente la bistecca la vuole al sangue. Vuole che gli coli in gola e sul tovagliolo, basta entrare in un ristorante per capire che i vampiri esistono e sono gli umani tutti.
(pag.102 – Aiutami di Paolo Grugni, Barbera Editore, 2008)

Come già spiegato nella prima parte, qui, ’Aiutami’ di Paolo Grugni racconta la storia di cinque amici, animali, decisi ad agire per smuovere le coscienze, pronti a un atto estremo, forte e rischioso pur di ’lasciare un messaggio’, di incrinare almeno un pò il muro di silenzio, indifferenza e menefreghismo che sentono attorno a loro. Gli animali, dunque, sono il motivo scatenante. O meglio. La considerazione e i trattamenti a loro destinati per mano umana, lo sono Nel romanzo di Grugni, dunque, emergono due principali macro tematiche, capaci di scatenare dibattiti quanto alzate di spalle e risate ironiche. L’alimentazione e la speranza.

Essere o diventare vegetariano o vegano. L’argomento prende forma lentamente - forse - perché non è lì che Grugni vuole focalizzare tutta l’attenzione. Eppure si sono scatenate diverse reazioni, dopo l’uscita del libro, essendo un dibattito ancora aperto, controverso nei contenuti quanti nelle sfumature. Prima di tutto vegano (sito utile: vegfacile.info ) non è sinonimo di vegetariano ( sito utile: vegetariani.it ), in quanto il primo non elimina dalla dieta solo carne e pesce bensì tutti i possibili derivati (latte ad esempio) nonché ogni prodotto che per essere ottenuto ha implicato abusi di qualsiasi tipo verso gli animali. Sottili differenze, sostiene qualcuno, che sono però sostanziali differenze nella vita pratica da cui i pareri tutt’ora contrastanti di nutrizionisti e medici. Ma, come accennavo sopra, il romanzo non è un inno verso specifici regimi alimentari fini a se stessi, una mera presa di posizione motivata, piuttosto la denuncia di un elenco – lungo, molto lungo – di comportamenti, modi di vivere, acquistare e consumare senza alcun rispetto tanto meno consapevolezza di quanto gli animali gridano ogni giorno ‘aiutami’, diventano trascurabili parti del ciclo (alimentare quanto ludico o commerciale). Strumentalizzare un romanzo come questo è fin troppo facile, io credo.

Jeffrey Moussaieff Masson, è stato psicoanalista e direttore degli Archivi Sigmund Freud, autore di numerosi saggi tra i quali il recentissimo ’Cosa c’è nel tuo piatto?’ edito in Italia dal Cairo Editore. Proprio in questo saggio, Masson analizza approfonditamente le attuali dinamiche che portano i cibi dentro i nostri piatti. La realtà descritta con una franchezza disarmante, è naturalmente quella americana ma non credo che il lettore europeo possa coscientemente dissociarsi ritenendo quanto letto ’appartenente a un altro pianeta’. Ne esce un testo duro, grave, dove le logiche del mercato alimentare spadroneggiano sulla vita (poco importa che sia animale in realtà, ’vita’ è già sufficiente come termine, dovrebbe almeno), dove i processi di produzione hanno modificato la qualità del vivere stesso degli animali, anzi, li hanno resi semplici oggetti per il nutrimento umano, spesso senza alcuna logica o reale necessità. Un libro che denuncia insomma, senza girare intorno alle questioni, senza ’mandarla a dire’. Masson ha visitato personalmente (tutt’ora pare lo faccia) allevamenti, fattorie, catene alimentari, battute di pesca. Personalmente nel significato letterale. Masson ha visto. Ha sentito le grida degli animali, ha memoria dei trattamenti, delle piccole ma importanti torture inflitte loro per far si che il tal prodotto sia quello cercato dal compratore ovvero sia come noi lo vogliamo. E vedere tutto questo lo ha profondamente segnato. Jeffrey Moussaieff Masson è diventato vegano e nel corso dei capitoli ne spiega anche le motivazioni, dettaglia tappe e ragionamenti che nel tempo, passando attraverso anni di osservazioni e scelte, lo hanno portato oggi a non sentirsi più ’complice’ di tutto quello che ora sa viene inflitto agli animali per dare da mangiare all’uomo, una forma di complicità tra l’altro tacitamente ammessa, implicita nell’atto stesso del mangiare. Occhio non vede, cuore non duole, dicono i saggi. Questo è uno degli aspetti che più il libro cerca di demolire. Sapere per capire, per conoscere come si arriva al patè che abbiamo sotto al naso, ma anche il tonno in scatola, i petti di pollo e tutto il resto passando per piatti prelibati quanto inutili dal punto di vista nutrizionale. Ha scritto Masson: “Non credo che sarei diventato vegano senza una conoscenza diretta di questo tipo.” 

Ma c’è di più.

Il saggio svela i c.d.’segreti’ dell’incremento produttivo (che in realtà ormai non lo sono più tanto, segreti,  per chi ha voglia di sapere on line certe informazioni, armandosi di santa pazienza o buoni motori di ricerca, si trovano) ovvero come l’uomo è riuscito ad aumentare i quantitativi attraverso processi subiti dagli animali che vengono dunque, ingozzati, ingrassati, imbottiti di farmaci (che restano poi nei ’prodotti consumati’ finendo ingeriti dall’uomo stesso), reclusi, legati, vengono loro accelerati i ritmi, impediti i movimenti, danneggiati organi o ’parti non utili’. 
La realtà narrata da Masson non lascia scampo a interpretazioni.  
Per nutrirsi l’essere umano non solo ha letteralmente piegato altre specie viventi, destinate a nascere per morire nel dolore, ma - se questo non bastasse - si sottopone a ingerimenti continui di sostanze dannose utilizzate in fase di allevamento ma anche dopo, durante i diversi cicli di trasformazione finchè il cibo non assume l’ ’aspetto’ desiderato.  
Masson argomenta il più possibile, il suo essere vegano, le sue motivazioni personali nate però da anni di osservazioni, riscontri ’reali’ e non teorici quanto possono apparire le pagine di questo libro; Masson dunque non teme confronti. Propone obbiezioni e le confuta.

La stessa definizione di animale, che tanto arrovella il mondo scientifico, medico, la morale e l’etica, viene passata attraverso uno scanner accurato.  

Senza dubbio ci sono davvero persone convinte che, se gli animali non hanno coscienza della sofferenza che sono costretti a sopportare, allora non dovremmo provare rimorso nell’infliggerla né sentirci costretti a porvi fine. […] … è molto calzante la celebre osservazioni di Jeremy Bentham: « Non dobbiamo chiederci se sono in grado di ragionare o se sono in grado di parlare. Piuttosto, dobbiamo chiederci se sono in grado di soffrire» (pag.24)

Molti studiosi del comportamento animale e altri biologi considerano insensata la questione della felicità animale. Non possiamo sapere, sostengono, cosa renda felice un animale.  
(pag.59 - Chi c’è nel tuo piatto?)

Se dunque taluni considerano possibile che gli animali siano incapaci di provare sentimenti, la loro percezione del dolore dovrebbe essere relativa, poco significativa. Per quanto mi è impossibile anche solo consideare una teoria del genere, di fatto è la stessa dinamica tutt’ora riscontrabile in molti operatori dell’industria alimentare. Le scritte ’qui alleviamo con amore’ oppure ’ qui si rispettano gli animali’ che pare siano ancora appese in alcune floride fattorie americane, sono la diretta espressione di una precisa filosofia che ’non vede’ ciò che ha davanti. Che non vuole riconoscere, non deve, le atrocità commesse per un piatto qualsiasi. Che non può neanche permettersi di guardare in faccia una mucca che penzola a testa in giù o una gallina con il becco tagliato per non parlare dei corpi che galleggiano a pelo d’acqua dei pesci finiti nelle reti ma non ‘utili’, quelli che semplicemente si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato e vengono rigettati in mare morti o moribondi.

A quasi tutte le galline destinate alla produzione di uova viene scorciato il becco quando sono ancora pulcini. Il più delle volte l’operazione viene eseguita con un macchinario elettrico la cui lama rovente taglia metà del becco superiore e un terzo di quello inferiore (al momento non è noto quanti pulcini muoiano per il trauma dovuto all’operazione). La ragione di questo intervento è che altrimenti, dato il sovraffollamento esistente nelle gabbie in cui vengono rinchiuse, le galline finirebbero con il beccarsi e ferirsi a vicenda. 
Ho chiesto spiegazioni su questa procedura agli uomini che la eseguivano e mi hanno risposto che è come tagliare le unghie a un essere umano. Ma ciò è palesemente falso. Non ci sono terminazioni nervose nelle unghie, mentre ce ne sono molte nel becco delle galline. Sarebbe esatto dire che la procedura equivale a tagliare l’ultima falange delle dita a un essere umano. […] Le terminazioni nervose ricrescono, ma il trauma cambia l’immediata formazione di un neuroma, un groviglio di fibre nervose e tessuto cicatriziale che spesso trasuda escrezioni. […]… il risultato di quell’operazione non può che essere l’insorgere di dolori cronici e acuti. 
(pag.65 - Chi c’è nel tuo piatto?)

Lo stralcio che ho riportato sopra è uno dei tanti esempi di ‘dinamiche industriali nel moderno mercato alimentare’. Ed è agghiacciante non soltanto per l’operazione in sé quanto per le cause scatenanti e lo schema innescato. Innanzitutto non si deve dimenticare che, nell’esempio di cui sopra, l’obbiettivo da raggiungere era intensificare al massimo la produzione di uova. Per farlo, le galline vengono tenute in spazi ristretti ma in quantità crescenti (minimizzare i costi, massimizzare i profitti, le classiche regole della produttività). Dunque sovraffollamento, e conseguentemente il beccarsi tra loro, che le galline non possono evitare non avendo spazio alcuni entro cui muoversi. E, infine, la soluzione scelta, la pratica di ‘scorciatura dei becchi’ già nei pulcini. Da questa semplice analisi che propongo è facile intuire quanto, le dinamiche industriali che mirano a incrementare i quantitativi minimizzando i costi, hanno trasformato anche le produzioni più semplici in mostruose catene che fagocitano gli animali i cui destini dipendono da quanto possono ‘essere utili all’alimentazione umana’ e da quanto lo possono fare sempre più in fretta e con risultati numericamente in crescita. Logiche che lasciano senza fiato. L’immagine della contadina che prende alcune uova dal giaciglio e tranquillamente se le porta in casa mentre la gallina scorazza nel cortile; quest’immagine è bruciata per sempre.

Dopo la lettura di questo saggio credo sia più semplice capire la rabbia che trapela da alcuni personaggi di ’Aiutami’, quella ferocia che Grugni ha rivesato sulla storia, dentro le voci, Masson la trasforma in logica, in fatti se non proprio oggettivi quanto meno ’registrati’, concreti quanto basta per rifletterci senza la facile copertura da ’tanto è un romanzo, è tutto finto, esagerato per copione’.

Al diventare vegetariano o vegano, poi, Masson dedica l’ultimo capitolo. Una sorta di diario, resoconto delle sue esperienze, scelte motivate e suggerimenti nutrizionali mai gratuiti, piuttosto supportati dalle considerazioni scientifiche di istituzioni, enti e organizzazioni americane ma soprattutto dal buonsenso. Non meno intenso e coinvolgente è il penultimo capitolo che affronta, smonta e spoglia le ‘negazioni’ in ogni forma, approccio e logica. E’ possibile non essere d’accordo con le argomentazioni, ma evitare di rifletterci, davvero difficile.

Quando questa negazione viene sottoposta alla nostra attenzione, chiamiamo in causa una serie di cliché per giustificare l’uccisione di altre creature. In effetti questo ricorso ai cliché è già di per sé una prima difesa, un modo per non riflettere davvero sull’argomento. Eccone un parziale elenco: 1) Gli uomini sono onnivori, lo sono sempre stati e sempre lo saranno, 2) Ha un buon sapore, 3) Abbiamo bisogno della carne per vivere in salute, 4) Gli animali si mangiano l’un l’altro, perché non dobbiamo fare lo stesso? … 
(pag.161- Chi c’è nel tuo piatto?)


Altra ‘controversa questione’ scatenata da ’Aiutami’ è la speranza. L’happy end che non c’è (considerato invece politically correct in narrativa e in generale nelle storie ‘raccontate’) ma non solo. Il senso di crollo, di annegamento lento ma costante, inevitabile quanto faticosa ammissione che l’essere umano ‘si’ sta affogando, aggrappato alla cieca-sorda-muta convinzione di essere ‘superiore’ all’animale. Un messaggio forte, estremo forse anche. Dunque fraintendibile. Che porta con sé un’altra etichetta pericolosa, secondo me: quella di ‘libro eccessivo, non costruttivo’. Come se il punto fosse lo stupire per forza.

Noi non abbiamo più voluto passare per animali, esseri così carnali, ma solo uomini evitando altri eteronomi. E nella mutazione semantica non c’è stata metempiscosi ma solo cirrosi. Ma l’anima è rimasta a loro, a noi, è scritto nella fenomenologia della nostra etimologia, l’humus, la terra, la materia, lo spirito perso già al primo capoverso. 
(pag.21, corrispondenza con il Maestro, Aiutami)

«Dimmi perché mi hai chiamato»  
«Per dirti che ti amo e che se ti diranno che ero fuori di me avranno ragione ma non avranno capito niente. In questa società chi è in sé è chiuso dentro se stesso, è in un circolo chiuso dal quale non può sfuggire. Per vivere, bisogna essere fuori di sé, fuori da se stessi, solo in questo modo ci si può vedere, ci si può comprendere. […]»
(pag.119 - Aiutami)

Non c’è l’happy end, dicevo, ci sono puntuali e precisi abbozzi di denunce, i personaggi ‘credono’ e decidono di agire. Decidono di trasferire sulla carne le grida degli animali, quel ‘salvami’ che è un loop straziante, ma ancora non abbastanza assordante, pare. Allora chiudendo il libro mi sono domandata: tutto questo è un’onda che si infrange e non lascia tracce? Non serve insomma, sapere e lottare? E’ questo il messaggio di Riccardo (del romanzo)? Perché c’è una frase che mi è rimasta impressa, una frase che qui ripropongo decontestualizzata per non svelare nulla della trama:

Credi che ci sia ancora qualche racconto sopra le nuvole?  
(pag.115, voce di Richy - Aiutami)

In ’Cosa c’è nel tuo piatto?’ non mi sento di affermare che si propone una versione della vita senza speranza. Jeffrey Moussaieff Masson ripete più volte nel saggio che le scelte sono appunto scelte. Ma in quanto mutevoli, modificabili, possono contribuire a interrompere o almeno rallentare i potenti processi industriali che stanno distruggendo il pianeta.

Ogni pasto è come l’espressione di un voto. Possiamo fare la differenza con ogni boccone. Non possiamo scegliere di ignorare l’argomento, di pensare che non ci riguardi. Perché ci riguarda eccome.§
Come individui, siamo programmati per non fare troppe domande su ciò che la società reputa indispensabile per la propria sopravvivenza. […] Riconoscere l’impatto sull’ambiente significa uscire dalla gabbia delle consuetudini quotidiane. Abbiamo bisogno di studiare per prendere atto di qualcosa che finora siamo stati incoraggiati e abituati a ignorare. 
(pag.56-57 - Chi c’è nel tuo piatto?)

Di certo non ne esce un’immagine facile, di questo nostro vivere oggi dove l’abitudine è non sapere. Fermarsi al supermato, nei negozi, riempire carrelli di prodotti di ogni tipo (freschi ma anche scatolette, sacchetti, surgelati, ingredienti elaborati) e dopo la cassa correre a casa a ingrassare dispense e frigoriferi fino al prossimo pasto. Ma del ’come’ quei prodotti sono diventati tali, chi li ha realizzati e soprattutto in che modo. No, di tutto questo non si parla. Meglio non pensare al naso del maiale, agli occhi del cavallo, alle pinne lucide del pesce, e così via. Meglio continuare a fingere che sono rari i casi in cui si inniettano cortisonici o altri intrugli chimici che poi restano nell’animale e finiscono nei nostri stomaci o in quelli dei nostri figli. Meglio si, ma per chi davvero?

Nessun animale addomesticato, tranne forse il gatto, conduce il tipo di vita cui lo ha destinato la natura. Tutti i cambiamenti che gli uomini sono riusciti a effettuare, soprattutto tramite gli allevamenti selettivi, non mirano al beneficio dell’animale: siamo noi a trarne beneficio, mentre l’animale ne subisce le conseguenze. Questo significa che se ci preoccupiamo per la sofferenza degli animali e per la qualità della loro vita dobbiamo smettere di mangiare tutti i prodotti di derivazione animale? Temo di si: personalmente, non vedo altre conclusioni possibili. Dico ‘temo’ perché mi rendo conto di quanto una scelta del genere sia lontana dalle convinzioni e dalle abitudini di tante persone. 
(pag.103 - Chi c’è nel tuo piatto?)

Masson però, seppure nelle descrizioni puntuali, tra analisi spiazzanti e logiche serrate, non cerca allarmismi insensati, secondo me. Non è tanto l’esagerazione, l’intento primario, quanto colpire duro per scatenare una reazione qualsiasi, purchè sia una reazione, qualcosa di diverso dall’attuale ignoranza che è tacita approvazione.

Gli animali patiscono le pene dell’inferno a causa della nostra ignoranza. Il minimo che possiamo fare è ridurre questa ignoranza. 
(pag.104 - Chi c’è nel tuo piatto?)
 

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