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Anche la Turchia ha il suo soft power

Che il soft power, nel contesto delle relazioni internazionali, possa rappresentare un strumento di destabilizzazione e di propaganda politica di grande efficacia lo dimostra non solo il caso delle rivolte arabe ma anche il caso della Turchia che prenderemo brevemente in considerazione. Uno degli aspetti meno noti della postura offensiva della Turchia è indubbiamente l’uso magistrale delle tecniche del soft power. Ciò è sorprendente in considerazione del fatto che la Turchia è un Paese, guidato da un Partito islamista. Dopo la seconda metà del primo decennio degli anni 2000, gli schermi delle famiglie arabe sono stati presi d’assalto da un nuovo prodotto televisivo: dei teleromanzi di produzione turca con storie rivolte al grande pubblico.

di Giuseppe Gagliano

Accessibile e persino sempliciste, queste telenovelas presentano una società dalla mentalità orientale, in cui onore, gelosia, famiglia e temperamento caratterizzano sceneggiature sentimentali e prevedibili. Ciò parallelamente a episodi che mettono alla berlina la modernità, il lusso e lo stile di vita americano delle classi agiate anatoliche. Gli attori turchi di queste soap opera sono divenuti rapidamente delle star nel mondo arabo. Per facilitare l’apprendimento dei nomi dei personaggi, questi rimangono invariati nelle differenti serie (o comunque sono molto simili).

Così «Kivanç Tatlitug», alto biondo e dai tratti nordici è sempre « Muhannad » per il pubblico arabo. Questo alter ego più facilmente pronunciabile l’ha fatto conoscere, nelle serie doppiate in arabo dialettale siriano, melodioso e comprensibile per il pubblico nordafricano e medio-orientale.

Tuttavia, questi film televisivi dalle trame di carta velina non sono stati che un primo passo che ha preparato il terreno ad altre serie dal messaggio più ideologico e politico. La serie La valle dei lupi (Kurtlar vadisi) hanno fatto prendere familiarità il pubblico arabo alle avventure di un servizio segreto turco, il MIT, il quale non ha niente da invidiare al MI6 (né alla CIA), avendo anch’esso un suo super agente segreto popolare (M.Alemdar, il J.Bond dell’Asia Minore). Ci sono anche le serie storiche che richiamano al pubblico arabo il glorioso passato dell’impero ottomano, sostituendo l’immagine negativa degli ultimi due secoli.

Il caso più rappresentativo è un polpettone, articolato in più stagioni e che ripercorre la vicenda di Solimano il Magnifico e del suo harem. Più recentemente, il pubblico arabo ha assistito ad una serie che vanta l’eroismo di Ertugrul, padre di Osman, fondatore dell’impero che ha portato il suo nome nei sei secoli successivi (Osmanli/Ottomano).

Questa massiccia campagna di soft power, lanciata dalla Turchia, non ha mancato di irritare la suscettibilità di un gran numero di forze politiche sia a livello regionale che internazionale. I governi arabi l’hanno percepita come un’incursione – dolce e graduale – nello spirito popolare per suscitarvi sentimenti di simpatia ed ammirazione, diffidando delle affinità ideologiche intercorrenti fra la Turchia ed alcuni oppositori di lunga data dei propri regimi.

Tuttavia questi governi non possono fare granché, almeno finché le relazioni con la Turchia mantengono un’apparenza normale. Se la tensione fra la Turchia e questi Paesi era latente nel quadro di polarizzazione del mondo arabo, frutto della caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto, essa si è manifestata in modo eclatante a seguito del tentato colpo di Stato contro il presidente Erdogan, di cui quest’ultimo ha accusato alcuni Paesi del Golfo.

Nel conflitto fra il Qatar e i suoi vicini del Golfo, Erdogan ha preso posizione in favore di Doha contro Riyad e Abu Dhabi, inviando anche delle truppe in Qatar. Ciò è stato sufficiente affinché i Paesi dell’altro campo passassero all’offensiva, arginando l’influenza turca interdicendo sul proprio territorio tutte le emanazione dei Fratelli. La controffensiva non si è arrestata qua e i gruppi dei media controllati da questi Paesi hanno boicottato la diffusione delle serie turche sulle proprie frequenze, considerandole uno strumento di influenza culturale.
La Turchia aveva già conseguito il proprio obiettivo di sedurre porzioni importanti della popolazione araba. Una volta che questo sentimento si è radicato negli spiriti, le reti social si sono fatte carico di riprendere il messaggio ed amplificarlo. I video e le pubblicazioni che cantano lodi ad Erdogan, ai sultani ottomani ed alla Turchia proliferano sul web.

Giuseppe Gagliano

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