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Altro che radio Londra, questa è radio Tirana

Lo spazio che fu di Enzo Biagi è oggi condotto da Giuliano Ferrara che ha parlato di sindacato, lavoro e del recente sciopero generale.

La trasmissione si è identificata da subito come assolutamente schierata con l’esecutivo. Del resto questo era lo scopo dichiarato, opporre cioè un qualche opinionista di regime alle trasmissioni di approfondimento che, invece, sono piuttosto di segno opposto e sono per giunta molto seguite. Tutto naturalmente a carico del contribuente. Ed è così che Ferrara ha lanciato i suoi strali contro lo sciopero generale di venerdì scorso indetto dalla CGIL, definito “politico e massimalista”. Politico perché rivolto contro il governo e massimalista perché troppo generico, cioè non indirizzato verso specifici temi realmente importanti per i lavoratori. Al contrario invece, secondo Ferrara, gli attuali ministri hanno ben operato ed inoltre, scioperi del genere non servono a nulla, anzi sono contro gli interessi degli scioperanti stessi come dimostrano le esperienze degli ultimi anni, ma soprattutto le condizioni salariali e sociali dei lavoratori nel nostro paese, peggiori che non in altri.

Corre l’obbligo quindi di ricordare allo smemorato Ferrara le due ragioni che hanno portato allo sciopero. Da un lato una politica fiscale eccessivamente oppressiva sui salari, troppe tasse sul lavoro insomma, e dall’altro una critica forte verso la politica adottata dal governo nei confronti del lavoro e della crisi che lo attraversa, politica giudicata inefficace, tardiva, povera di idee vere, debole nell’azione verso la creazione di posti e della salvaguardia di quelli esistenti. Motivazioni politiche quindi, se ne deduce che lo sciopero non poteva che essere tale. D’altro canto, benché personalmente mi trovi quasi sempre in disaccordo con le posizioni della CIGL, in questo caso proprio non si può dare torto al sindacato. Sono sufficienti pochi numeri per capire la portata della questione.

Secondo l’ultimo rapporto gli italiani nel 2008 hanno guadagnato il 17% in meno della media Ocse; la busta paga non arriva infatti a 16.000 euro l’anno, poco più di 1.300 euro al mese contro il Regno Unito a 29.000, Germania 22.700 e Francia 20.500 euro. Abbiamo in pratica salari fra i più poveri dei paesi europei, siamo al 23° posto e questo soprattutto per colpa del cuneo fiscale, la differenza cioè tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente percepito. Il peso di tasse e contributi per un lavoratore dal salario medio (single e senza carichi di famiglia) è del 46,5%, senza contare il Tfr. In questa classifica l’Italia risulta invece al sesto posto fra i trenta paesi Ocse, partendo da quelli dove è maggiore il peso fiscale, naturalmente. Anche Grecia e Spagna, benché sconvolti dalla crisi economica, stanno meglio di noi non fosse altro che per la tassazione pari rispettivamente al 25 e 20%, più o meno la metà dell’Italia. Una guerra fra poveri insomma di cui, peraltro, il sistema produttivo del nostro paese non ne ha neppure approfittato, alla luce dei risultati della crisi.

E non ne ha approfittato perché non vi è stata, e non vi è tuttora, alcuna politica industriale concertata e coesa, è assente nei confronti della drammatica deindustrializzazione che ci soffoca, navighiamo a vista nell’indifferenza generale, o meglio, nella miopia assoluta verso i problemi dell’industria e del lavoro, operiamo nella scientifica disorganizzazione nei confronti della costruzione del futuro, del fare squadra per sostenere gli interessi comuni del sistema paese. E’ completamente assente insomma, una regia che con idee chiare e realistiche sia capace di coagulare i principali attori per poterle realizzare concretamente, regia che dovrebbe competere al governo, il tanto declamato “governo del fare”. Ma così non è, anzi siamo lontanissimi e da qui il secondo punto dello sciopero. E’ proprio a seguito di questa situazione, pensa il sindacato e non solo, che si sono acutizzati i limiti del sistema Italia, le ragioni cioè della nostra stagnazione riconducibili sostanzialmente alle piccole dimensioni delle aziende che le esclude dal mercato internazionale, un nanismo miope e timoroso di perdere il controllo, alla burocrazia e ai costi dell’apparato, in alcune aree al malaffare che spaventa, alla rigidità, efficienza e costo del lavoro, alla tassazione delle imprese, alla ricerca e qualità dei prodotti totalmente assenti, alla qualità del management e degli imprenditori.

E come dimenticare la surrettizia accettazione dell’evasione fiscale, la prima azienda del nostro paese in termini di fatturato e numero di addetti, un malcostume che drena risorse, mortifica la giustizia, esalta il malaffare, un autentico record mondiale tutto nostro. Secondo il rapporto annuale della Guardia di Finanza nel 2010 gli italiani non hanno dichiarato al fisco redditi per quasi 50 miliardi di euro, una somma gigantesca cresciuta peraltro del 46% rispetto all'anno precedente, circa tre manovre finanziarie pesanti. E la situazione è così indecente che perfino il Cardinale Bagnasco e la CEI ne hanno parlato in diverse occasioni.

Però Ferrara su un punto ha ragione. Lo sciopero è stato sfilacciato, sfuocato, ha dato la sensazione di essere effettivamente generico, privo di mordente e risultati, non ha avuto la forza di aggregare, di rappresentare il disagio forte che il paese realmente attraversa. Un “massimalismo” nel metodo seppur non nelle motivazioni. Se non si pone sul tavolo in maniera chiara, da un lato una maggiore flessibilità ed efficienza del lavoro con un assenteismo a livello europeo, e dall’altro non si obbliga l’esecutivo a varare una nuova politica fiscale, un piano di azione con numeri, date, obiettivi per la rimodulazione delle aliquote e la contemporanea riduzione dell’evasione, allora avrà ragione Ferrara, allora l’azione sarà inefficace e spenta, cioè inutile. E non si tema, non mancano certo le idee, lo stesso Tremonti le ha fornite in varie occasioni, definendo peraltro “immorale” il fenomeno evasivo. E’solo una questione politica certamente non pratica. Per questo sì, varrebbe la pena di scioperare. Questo Ferrara dovrebbe dire, anche solo per dovere di informazione, per rispetto di quel grande maestro che fu Enzo Biagi verso il quale, un confronto, è addirittura impietoso. Ed è per questo che anzicchè radio Londra, sembra proprio radio Tirana.

Claudio Donini per alfadixit.com

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Commenti all'articolo

  • Di Aldo Visibelli (---.---.---.60) 11 maggio 2011 00:42
    Aldo Visibelli

    Io credo che gli operai stiano pagano per tutti quegli evasori fiscali che hanno lasciato un buco immenso nelle tasche dello stato. Il problema risiede nella corruzione dei politici e nei cittadini disonesti. Nonostante questo, non condivido quello che dice Ferrara anche se per capire veramente bene le sue tesi bisognerebbe riascoltare la puntata registrata.. 

    • Di (---.---.---.180) 11 maggio 2011 09:14

      Buongiorno Aldo
      il problema sta nel fatto che l’enorme evasione fiscale drena altrettanto enormi risorse da "chi non ha", cioè operai e dipendenti in genere, verso "chi ha", partite iva in nero, professionisti con conti in Svizzera, srl in perdita, ecc.. Una sorta di Robin Hood al contrario insomma. Questo è surrettiziamente accettato perchè porta voti specialmente verso una parte politica. I rimedi però ci sono, anche se nessuno li ha mai messi in campo con serietà, perchè "scomodi", colpirebbero un immenso bacino di illegalità. La cosa incredibile è che i sindacati non facciano nulla, ma assolutamente nulla per questo malaffare. Scioperi generici non servono , non vengono capiti e in questo Ferrara ha ragione. Sarebbe assai più efficace sciperare con l’obiettivo dichiarato di avere da Tremonti cinque punti in meno di Irpef (e quindi più salario) da bilanciare con alltrettanta evasione fiscale recuperata. Tremonti sa’ benissimo come fare. 
      Cordialità CD.
      PS Grazie del commento. 

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