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Agenzia delle Entrate e evasione fiscale. Vi daremo un consiglio che non potrete rifiutare

Interessante intervista del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, a Repubblica. Da cui si evince che la dottoressa Orlandi crede moltissimo al ruolo “civile” della sua struttura, e non potrebbe essere altrimenti, ma ciò tende a produrre prese di posizione potenzialmente problematiche, detto da un punto di vista fiscalmente garantista.

Sulla verifica dei conti correnti a fini antievasione, la posizione di Orlandi è piuttosto netta:

Per avere un controllo più serrato servirebbe anche un’analisi dei conti correnti bancari…
«L’abbiamo sempre chiesta, adesso è possibile fare un’analisi dei casi segnalati come a rischio di evasione, ma al momento è escluso l’uso massivo. E’ quello che ci servirebbe, ma il pacchetto promesso è fermo da due anni. L’ostacolo al momento è costituito dalla tutela della privacy: ma chi la invoca dimentica che tutti i dati sono elaborati dalla Sogei, un fortino informatico a prova di intrusione, che garantisce un uso più che corretto dei flussi finanziari grazie a severissime procedure di accesso. Nessuno potrà impropriamente avvalersi di dati sensibili, questo è certo»

Due cose: l’uso massivo dei conti correnti bancari a fini fiscali è l’arma nucleare finale, come si intuisce. Avremmo qualche dubbio circa il fatto che l’ostacolo decisivo all’attuazione di tale procedura sia rappresentato dalla privacy, diciamo. Ma se, per assurdo, così fosse, la granitica certezza della Orlandi sulla impenetrabilità della Sogei ad usi “impropri” ci pare vagamente inquietante.

Ma ancor più inquietante, e paradigmatica di una certa visione del mondo del direttore dell’AdE, è l’enunciazione programmatica della metamorfosi del fisco da agente di repressione a “partner” o anche “tutor” del contribuente. Che sarebbe principio molto anglosassone se non fosse che siamo in Italia, paese che fa della cultura del sospetto e dell’inversione dell’onere della prova il proprio mainstream culturale. Soprattutto in ambito fiscale, dove abitualmente si scatenano le pulsioni ancestrali a considerare l’eventuale condizione economica “agiata” delle persone un pesante indizio di colpevolezza, purtroppo rinforzata di recente da alcune prese di posizione molto pop sul “denaro sterco del demonio” provenienti dal monarca di un piccolo stato conficcato nel cuore della capitale italiana. Ma non divaghiamo. Si diceva della partnership tra fisco e cittadino contribuente perché, come dice Orlandi “non solo la repressione ci aiuterà”:

«Persuasione e collaborazione. Il 730 precompilato è un esempio, noi diciamo al contribuente: ‘A questo ci pensiamo noi, fidati, ti aiuteremo’. Ad altri, e questa è una novità che stiamo per lanciare, scriveremo invece dicendo: ‘Ci risulta che nella tua dichiarazione ci siano delle anomalie. Correggile, usa gli strumenti di legge, ed eviteremo di entrare in conflitto. Il contribuente sa di essere controllato, confidiamo che collabori. In Italia ci sono sei milioni di partite Iva, tantissime: tanti pensano di potersela cavare evadendo, ma non sarà così»

Da dove cominciare? Intanto, l’approccio: noi siamo i tuoi tutor, fai quello che diremo e non ti succederà nulla. Già così è inquietante. E’ una partnership talmente spontanea e dialogante che va rafforzata col concetto “il contribuente sa di essere controllato, confidiamo che collabori”. Per tacere di quell’accenno assai poco subliminale alle partite Iva. La dottoressa Orlandi ha riletto il testo dell’intervista, prima di dare l’assenso alla pubblicazione? Se lo ha fatto, non ha avvertito una lieve criticità in questa frase, che rafforza l’antica leggenda metropolitana che le partite Iva sono tutti evasori? Se lo ha fatto, e non ha avvertito tale criticità, ecco, abbiamo un problema. Le parole sono importanti. Anche quando stiamo tentando di fare la caricatura dell’amministrazione fiscale di paesi anglosassoni, scandinavi o comunque civili.

Non abbiamo alcun motivo di dubitare della perfetta buona fede del civil servant Rossella Orlandi. Quello che ci preoccupa, ribadiamolo, è il modello culturale che l’ha prodotta ed in cui è immersa. Ma non stupisce, nel paese dell'”intercettateci tutti”, e del “chi è pulito non ha nulla da temere”. Lo dicevano anche nella DDR, in effetti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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