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Adama è libera, dopo tre mesi di prigionia nel Cie di Bologna

Adama è libera. La donna senegalese rinchiusa nel Cie di Bologna perché “irregolare”, rinchiusa nonostante avesse denunciato le violenze subite dal compagno, rinchiusa nonostante fosse stata quasi sgozzata, ha finalmente ottenuto il (maledetto) permesso di soggiorno.

C’è voluto l’impegno di Migranda, c’è voluta una forte mobilitazione della società civile bolognese, c’è voluta una campagna di informazione, c’è voluto tutto questo affinché la sua vicenda venisse alla ribalta, trovasse l’attenzione che meritava e si avviasse alla conclusione di ieri sera: Adama ha avuto il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale.

Nel Cie di Bologna era entrata il 26 agosto. Più di tre mesi di detenzione (si, perché di questo si tratta). Le avrebbero dovuto dare una “medaglia al valore civile” per la forza e il coraggio dimostrato, avrebbero dovuto darle la cittadinanza onoraria, avrebbero dovuto chiederle di raccontare la sua storia nelle scuole, una storia in cui la violenza dell’ingiustizia sociale e economica si traduce prima nella violenza dell’uomo sulla donna e poi in quella di un sistema di controllo e repressione sull’individuo. E invece no. Non è accadutto niente di tutto ciò e Adama è finita in quello che ancora non tutti chiamano con il suo vero nome: carcere.

Leggo che avrebbe ottenuto questa tipologia di permesso di soggiorno in base all’articolo 18 della legge Bossi Fini. Ma allora, perché è stata rinchiusa nel Cie? Tutto questo tempo per capire che si trattava di una persona che aveva bisogno di protezione, aiuto, ascolto, non certo della minaccia di essere rispedita alla miseria del suo paese? Qualcuno ha sbagliato, per dolo o per negligenza o per cattiva interpretazione della legge? O forse è la legge stessa a essere fraintendibile e quindi, probabilmente, da cambiare? Perché è stata necessaria una campagna di mobilitazione per accelerare la conclusione della vicenda? E se non ci fosse stata questa attenzione sociale e mediatica, Adama quanto alro tempo sarebbe rimasta rinchiusa? Quante storie simili non sono note? Quante altre donne come Adama non hanno la fortuna di trovare una rete di solidarietà in grado di sostenerle nella lora battaglia?

Quanta violenza contro le donne si consuma nei Cie?

Ciononostante, questo è un momento felice. Adama è libera e la sua vicenda può dare nuovo impulso a tutti e tutte coloro che si battano affinché vengano abrogate le leggi assurde che provano a governare il fenomeno migratorio nel nostro paese, con il solo risultato di costringere migliaia di uomini e donne a vivere al di fuori del terreno dei diritti, sempre sotto ricatto.

Adama è libera e voglio immaginarla mentre esce dal centro, mentre, forse, piange di gioia, mentre viene accolta e abbracciata dalle sue compagne. Voglio immaginarla felice e senza paura.

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