• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Abya Yala e la lotta femminista

Abya Yala e la lotta femminista

Intervista a Francesca Gargallo Celentani

 

Francesca Gargallo Celentani, scrittrice, filosofa femminista, vive in Messico dal 1979. É stata una delle professoresse-ricercatrici che ha partecipato alla fondazione della Universidad Autónoma de Ciudad de México nel 2001, dove ha insegnato fino al 2014. Tra i suoi romanzi: Al paso de los días, La costra de la tierra, La decisión del capitán, Marcha seca, Estar en el mundo. Tra i suoi saggi: Idee femministe latinoamericane e Feminismos desde Abya Yala.

In questo periodo lavora come ricercatrice e scrittrice indipendente e come sostegno alla ricerca per il "posgrado" di Studi Latinoamericani all'UNAM, facendo parte del "Consejo Asesor" della "Unidad de Género de la Coordinaciónde Difusión Cultural de la UNAM".

1) Come nasce la sua passione per l’America Latina? In che anno ha visitato, per la prima volta, il Chiapas?

La mia prima passione per l’America Latina fu letteraria, poi divenne cinematografica e finalmente personale. Sapevo che Flora Tristán era metà peruviana e aveva visitato e scritto sul Perú: le sue Pellegrinazioni di una Paria sono state la mia iniziazione a una storia diversa, a un altro modo di pensare l’Occidente, una concezione differente della vita femminile. Poi mi sono innamorata-spaventata con la Rivoluzione Messicana, così fortemente popolare, indigena, negata, tradita e dove parteciparono centinaia di donne come ufficiali, sottoufficiali, soldate, infermiere, cuoche, stalliere ed anche come pensatrici e ideologhe. Un’amica anarchica mi parlò di Juana Belén Gutiérrez de Mendoza e non so come, su una fotocopia di una fotocopia, giunse alle mie mani il suo libro República Femenina. Fu una importante maestra, editrice, libertaria e colonnella dell’esercito zapatista. Poi lessi i ¿racconti? ¿romanzo di scene susseguenti? di Nellie Campobello, Cartucho, e mi innamorai per sempre del Messico. Era il 1979, l’anno del trionfo della Rivoluzione nicaraguense, una delle più belle, esaltate, propositive. In seguito attaccata, distrutta, affamata, perduta e poi venduta, come gran parte delle rivoluzioni latinoamericane. Quell’anno arrivai in Messico e, con il tempo, sono diventata una scrittrice messicana. Non è il Chiapas che mi ha fatto innamorare dell’America Latina, che io preferisco chiamare Nuestramerica, perché in realtà 607 popoli parlano lingue di qualsiasi famiglia linguistica meno quella latina, però nel “noi-altro” (inteso come appartenenza ad un destino simile) possono confluire. Tuttavia sono giunta, per la prima volta, in Chiapas tra l’82 o 83 in piena repressione genocida del dittatore Ríos Montt. Allora le persone che scappavano dalle montagne e le selve guatemalteche cercavano rifugio in Messico, in Belize, ovunque. Ríos Montt fece 80 000 morti in sette mesi, nessuno ne voleva sapere, non ci si faceva caso, però il vescovo del Chiapas, monsignor Samuel Ruiz García, aveva iniziato una pastorale indigena per accompagnare i rifugiati e le rifugiate. Io allora studiavo le condizioni delle donne nelle lotte per la liberazione nazionale nei diversi paesi del Centro América. Assolutamente non sapevo nulla dell’esistenza di un nucleo guerrigliero in Chiapas, per me, nel 1994 l’Esercito Zapatista fu una sorpresa, come per la maggioranza delle messicane.

 

2) A quando risale il suo primo saggio sul femminismo latino-americano?

Scrivo da diversi anni, oltre a romanzi e racconti scrivo saggi sulla filosofia delle donne latinoamericane, della loro partecipazione alle rivoluzioni centroamericane. Nel 1988 presentai la mia tesi dottorale sulle trasformazioni del comportamento femminile durante la guerra in El Salvador. Allora pubblicavo dove potevo articoli e saggi. Orbene, il mio manuale di diritti umani delle donne Tan Derechas y Tan Humanas é stato pubblicato nel 2000. Poi nel 2006 è uscito Ideas Feministas Latinoamericanas, un lungo lavoro di storia delle idee femministe in Nuestramerica (che è stato tradotto all’italiano da Giovanna Minardi e pubblicato da Edizioni Arcoiris nel 2016 con il titolo Idee Femministe Latinoamericane), e nel 2010 sono partita per finire la mia ricerca sui femminismi non occidentali, di matrice diversa, e per dialogare con attiviste comunitarie, ideologhe femministe, lottatrici sociali e ambientaliste dei popoli indigeni. Nel 2012 è uscito a Bogotá Feminismos desde Abya Yala, essendo Abya Yala il nome che il popolo kuna da al continente per evitarne l’appellativo colonialista di America.

 

3) Le donne zapatiste hanno ospitato il primo raduno internazionale di politica, arte, sport e cultura per le donne in lotta in Chiapas, in Messico, dal 7 all'11 marzo 2018. Una delegazione di donne di ogni ceto sociale, razziale e diverso background economico ha assistito a vari incontri su diverse tematiche. Le loro prospettive indigene e la volontà di decolonizzare e rimodellare il panorama politico con qualcosa che funzioni per ogni persona sono state la linea guida dei vari dibattiti e temi affrontati. Cosa potrebbe raccontare di questa esperienza?

Prima di tutto vorrei menzionare l’entusiasmo, la sensazione di essere arrivate a un luogo dove trovarci in pace, senza protagonismi, né gerarchie tra noi. Siamo giunte da cinque continenti, 72 paesi, dalle coste di tutti i mari. La ricezione, l’organizzazione dello spazio e la totale libertà che ci hanno offerto le zapatiste, che hanno partecipato in 2000 dai 5 caracoles, per muoverci, dialogare, presentare i più diversi workshops, dal camminare insieme guardandoci negli occhi per imparare ad avere fiducia, fino alle discussioni sulle forme della politica, il momento attuale, il significato della memoria, l’espoliazione della terra e la vita di questo momento del capitalismo, sono state veramente benefiche per le 5000 donne che siamo arrivate al caracol di Morelia. Le bambine e i bambini andavano in giro libere, senza timori di violenze, le mamme erano tranquille, tutte eravamo responsabili di tutte e tutte eravamo libere di essere come siamo, nelle nostre rivendicate differenze e nel nostro confluire nella necessità di costruire un altro mondo, non un mondo di proprietà private e competitività, ma d’idee che si costruiscono in dialogo. Non di divisione sociale del lavoro, di non socializzazione alienante ma di collaborazione, reciprocità e creazione. La mancanza di un’idea dominante sul da farsi ci ha permesso di pensare alle nostre liberazioni, l’urgenza di porre fine al capitalismo.

 

4) Diversi zapatisti sono stati convocati dal Comando Generale Comunista Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI-CG) e dell'Esercito di Liberazione Nazionale Zapatista (EZLN) in nome delle ragazze zapatiste, giovani donne, donne adulte e anziane, membri del consiglio, membri della giunta e donne ribelli… Come ha vissuto le relazioni e il pluralismo etico e politico di questa esperienza, tenutasi questa domenica 11 marzo?

La presenza degli uomini zapatisti non è stata sentita, di fatto, gli uomini non erano ammessi nello spazio di riunione. Chissà sia stata quella la maggior sensazione di libertà, piacere, non so… Fino alla chiusura dell’incontro, con un ironico e autocritico, ed eppur preciso, comunicato delle zapatiste sulla necessità continuare la lotta dai nostri centri e dalle nostre realtà, lottare per costruire un mondo partecipante e dialogante e non “unicista”, gli uomini, non importa di quali delle correnti zapatiste, né se partecipanti nel Consiglio Indigeno di Governo, mai hanno partecipato all’Incontro.

 

5) Il processo di pace colombiano fa riferimento al processo di pace tra il governo colombiano del presidente Juan Manuel Santos e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia - Esercito popolare (FARC-EP) per porre fine al conflitto colombiano. In che modo hai vissuto questo processo e con quali organismi internazionali?

Seguo costantemente le notizie sulla Colombia, dove ho numerosi amici e amiche, molte delle quali di vecchia data e oggi professori, editori, registi, scrittrici, maestre e attiviste ecologiste e dei diritti indigeni. In Colombia, il governo è sempre riuscito a far credere alla popolazione dei settori medio-alti, e alla popolazione urbana in genere, che lavora senza sosta ed è “depoliticizzata” in modo tale da non reagire alla perdita di tutti i diritti lavorativi e sociali, medici e educativi, che le FARC fossero responsabili, esattamente come le forze armate, della violenza politica e sociale.

 

6) I negoziatori del 2012, a La Habana, hanno annunciato un accordo definitivo per porre fine al conflitto e costruire una pace duratura, il 24 agosto 2016. Tuttavia, un referendum per ratificare l'accordo il 2 ottobre 2016 non ha avuto successo, dopo che il 50,2% degli elettori ha votato contro l'accordo con il 49,8% a favore. In seguito, il governo colombiano e le FARC hanno firmato un accordo di pace riveduto il 24 novembre ed è stato inviato al Congresso per la ratifica, invece di condurre un secondo referendum. Entrambe le Camere del Congresso hanno ratificato l'accordo di pace riveduto il 29-30 novembre 2016, segnando così la fine del conflitto. Come ha vissuto questa situazione così instabile e fluttuante? 

Il 50.02% della popolazione che votò (con un 60% di astensioni) lo fece contro il processo di pace proposto dal presidente Santos alle FARC. Questo risponde a una polarizzazione ideologica della popolazione, alla disperazione di una popolazione spiazzata dalla violenza, alle vittime di genocidio ed ecocidio e alle comunità perseguitate dai paramilitari. Andò a votare solo la destra, quella che vuole la guerra, sia per vendetta, sia perché crede che i guerriglieri siano terroristi e la protesta sociale debba essere repressa. Si tratta di settori “uribisti”, cioè integralisti-religiosi, fautori dell’autoritarismo e delle gerarchie, fanatici delle proposte sulla mano dura dell’ex presidente Uribe, che tutti dicono sia vincolato ai paramilitari e che certamente è un alleato degli imprenditori-capitalisti “estrattivisti”. Confesso che quando ho ricevuto la notizia sulla piccola maggioranza che ha votato per il no al processo di pace, mi sono attaccata al telefono e mi sono messa a piangere con un’amica colombiana che è maestra rurale e attivista per i diritti umani. Oggi si vedono gli effetti di una pace che la popolazione non appoggia, né difende: molti dirigenti delle FARC, contadini e sindacalisti sono stati uccisi e le terre che controllavano le FARC oggi sono contese da multinazionali, cartelli petroliferi e progetti di deforestazione.

 

7) Il conflitto, noto come La Violencia, innescato dall'assassinio del leader politico populista Jorge Eliécer Gaitán e in seguito dagli Stati Uniti – con una forte repressione anti-comunista nella Colombia rurale negli anni '60, ha portato i militanti liberali e comunisti a riorganizzarsi nelle FARC.

Le ragioni del combattimento variano da gruppo a gruppo. Le FARC e altri movimenti di guerriglia dichiarano di lottare per i diritti dei poveri in Colombia, per proteggerli dalla violenza del governo e per fornire giustizia sociale attraverso il comunismo. Il governo colombiano afferma di lottare per l'ordine e la stabilità, cercando di proteggere i diritti e gli interessi dei suoi cittadini. I gruppi paramilitari affermano di reagire alle minacce percepite dai movimenti di guerriglia. Sia i gruppi guerriglieri che i gruppi paramilitari sono stati accusati di essere coinvolti nel traffico di droga e nel terrorismo. Tutte le parti coinvolte nel conflitto sono state criticate per le numerose violazioni dei diritti umani. Secondo uno studio del Centro nazionale per la memoria storica della Colombia, 220.000 persone sono morte nel conflitto tra il 1958 e il 2013, la maggior parte civili (177.307 civili e 40.787 combattenti) e oltre cinque milioni di civili sono stati costretti a lasciare le loro case tra il 1985 e il 2012, generando la seconda più grande popolazione al mondo di sfollati interni. Il 16,9% della popolazione in Colombia è stato vittima diretta della guerra. 2,3 milioni di bambini sono stati sfollati dalle loro case e 45.000 bambini sono stati uccisi, secondo le cifre nazionali citate dall'Unicef. In totale, una su tre delle 7,6 milioni di vittime registrate del conflitto sono bambini e dal 1985 sono scomparsi 8.000 minori. Qual è di preciso il ruolo delle ONG e elle Organizzazioni Umanitarie in Colombia? Potreste descrivere qual è la condizione femminile colombiana e quella infantile?

Non ho mai lavorato in una ONG, ma so che il loro ruolo in Colombia é importante: 138 ONG lavorano per contrastare la corruzione, molte donne sono impegnate in ONG di sviluppo locale, nella difesa delle popolazioni afrocolombiane e indigene, nella difesa territoriale e ambientale, e soprattutto nella difesa dei diritti umani e civili, tra cui il diritto all’educazione e la salute delle popolazioni sfollate. Molte portano avanti un esercizio alternativo della giustizia, presentano denunce, controllano e limitano l’abuso di potere offrendo opportunità giuridiche e politiche alla popolazione più indifesa. La popolazione infantile, in particolare, è poco protetta, malgrado si dica che quasi 5 milioni di bambini siano coperti da un sistema di protezione sociale; temo che siano dati poco attendibili, è pericoloso essere una bambina o un bambino in un paese violento e dove le differenze sociali sono così brutali come in Colombia. Nelle famiglie dov’é presente maltrattamento coniugale, circa il 45% del totale, il maltrattamento delle bambine è comune. Il 37% dei bambini vive in povertà e nelle zone rurali vi sono tre volte più possibilità di essere una bambina o un’adolescente povera, circa 830 000 minorenni ogni anno lasciano la scuola per motivi socioeconomici, la violenza sessuale miete vittime tra bambine e bambini, anche se le prime sono 5 volte più esposte allo stupro che i secondi. Eppure nelle comunità indigene vi sono eccellenti programmi di studio che rispettano la cultura e l’integrità dell’infanzia nella propria comunità, ma non sono presi in considerazione, anzi sono combattuti dal governo.

In quanto alle donne, sono il 40% della popolazione economicamente attiva della Colombia, una famiglia su 5 è sostenuta da una donna single. Però tuttora il lavoro femminile non è retribuito quanto quelli degli uomini e i lavori considerati femminili sono poco rispettati e valorizzati. Orbene, le donne colombiane si organizzano e lottano per il loro diritto alla vita, letteralmente per il diritto a non essere uccise e il diritto all’uguaglianza. Esiste un movimento importante, disperso e diverso, di donne femministe fin dagli anni 80.

8) È stata creata una Giurisdizione speciale per la pace, per indagare, chiarire, perseguire e punire le gravi violazioni dei diritti umani e le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale verificatesi durante il conflitto armato. Lo scopo sarebbe quello di soddisfare il diritto alla giustizia delle vittime. Un’unità speciale è stata creata per cercare persone scomparse (desaparecidos) a causa del conflitto armato. Le è mai capitato di conoscere o confrontarti con vittime o carnefici di questo decennale conflitto?

Ho conosciuto vittime e vittime “resilenti”, cioè persone che hanno superato situazioni di violenza e razzismo, sessismo e discriminazione di classe. Ho conosciuto progetti di educazione in zone marginali, dove tutte le scolaresche venivano da famiglie di sfollati, erano bambini e ragazzi particolarmente attenti alla realtà che li circondava e facevano analisi impressionanti sulla violenza politica, sociale e criminale. Saranno necessari diversi anni per sanare la società. In Colombia tutte le persone hanno sofferto, in qualche modo, la violenza. Tuttavia la violenza contro le donne è ancora strutturale, non segue la stessa curva della violenza paramilitare, criminale e “di guerra” e non tende affatto a diminuire.

 

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità