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Abolire le province? E se abolissimo le regioni?

Per diminuire i costi della politica si era pensato di abolire le provincie, in considerazione che regioni e comuni già bastano alla bisogna. Poi, dopo le prevedibili proteste dei diretti interessati, è spuntata una mediazione: non le aboliamo, ma le riduciamo accorpandole. Lasciamo perdere i soliti piagnistei sulla ferite all’identità locale, per cui Livorno non può andare sotto Pisa, Mantova si sente degradata sotto Cremona, Prato si sente assassinata a tornare sotto Firenze ecc., veniamo alla sostanza: è una riforma inutile.

I risparmi che essa comporta sono molto limitati perché:

A - il personale amministrativo - che rappresenta una delle più consistenti voci di spesa - non può essere licenziato ma passerà sotto la nuova amministrazione; per cui i vantaggi maggiori, da questo punto di vista, verranno man mano che l’attuale personale andrà in pensione non essendo rimpiazzato. Insomma, nel giro di almeno una decina di anni;

B - le province, proporzionalmente alla popolazione, sono l’ente locale con meno potere di spesa;

C - le provincie hanno un limitatissimo irradiamento in enti collaterali che, invece, è piuttosto esteso nei comuni ed estesissimo nelle regioni, per cui la spesa per questi enti è una voce del tutto minoritaria nel sistema degli enti di sottogoverno locale;

D - i compensi dei consiglieri provinciali sono ben più modesti di quelli dei consiglieri regionali;

E - una parte delle economie di spesa sarà compensata dalle spese di accorpamento (trasferimento del personale e delle pratiche, riorganizzazione degli uffici, ricostruzione degli organigrammi, movimento carte ecc.);

G - non si sta affrontando ancora il problema delle articolazioni locali dell’amministrazione statale che è organizzata su base provinciale (prefetture, questure, provveditorati agli studi ed alle opere pubbliche, intendenze di finanza, delegazioni locali delle ragionerie dello Stato, della Corte dei Conti, della Banca d’Italia, distretti militari, ecc.) ed il cui accorpamento porrà problemi ancora più seri: se un funzionario ha raggiunto il grado di Prefetto, di Provveditore o di Questore non può essere retrocesso e, anche se “non in sede” continuerà a ricevere lo stipendio di prima. In teoria, si potrà risparmiare sugli “uffici di gabinetto”, ma in realtà è ragionevole attendersi che le resistenze corporative otterranno che si istituiscano delegazioni o sotto delegazioni locali che corrisponderanno, grosso modo, alle attuali provincie. Comunque vada, per ora non se ne parla.

Insomma, la classe politica ci sta prendendo per i fondelli, dandoci ad intendere di stare operando chissà quale riforma epocale, mentre si tratta di una modestissima riduzione dei costi della politica: nel suo pantagruelico pasto, la classe politica rinuncia ai sottaceti.

Non c’è dubbio che l’Italia sia afflitta da un eccesso di spesa pubblica che va ridotta e che questo eccesso sia direttamente connesso all’ipertrofia del ceto politico. Chissà perché, quando si tratta di tagli alla spesa pubblica subito si punta l’indice su pensioni, sanità ed istruzione? Il vero bubbone sta altrove e si chiama “Regione”.

Alla Costituente fu in particolare la Democrazia Cristiana a battersi in favore dell’istituto regionale, fedele alla sua impostazione ostile allo stato centrale (il vecchio nemico unitario, liberale e massonico) e favorevole alla dimensione del campanile. Le sinistre - ed il Pci in particolare - furono assai tiepide, se non ostili, e votarono a favore solo per opportunità politica, ma senza crederci.

Poi le parti si rovesciarono: la Dc che aveva saldamente conquistato il potere centrale, iniziò a chiedersi perché mai avrebbe dovuto delegarne una parte ad enti locali di cui alcuni, inevitabilmente, sarebbero caduti nelle mani delle sinistre. Simmetricamente, il Pci, che sapeva di essere escluso dal potere centrale per un periodo imprevedibilmente lungo, rivalutò l’idea del decentramento regionale, come il modo di conquistare qualche fettina di potere che lo aiutasse a resistere durante la “traversata del deserto”. Man mano, il Pci finì per convincere se stesso della centralità della riforma regionale dalla quale grandi cose ci si attendevano sulla via italiana al socialismo.

In particolare Pietro Ingrao ed Enzo Modica costruirono una retorica regionalista che raggiunse punte liriche quanto del tutto infondate: la Regione avrebbe rappresentato l’innesto di un elemento di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa (come se i consigli regionali non fossero istituti di democrazia rappresentativa), le regioni avrebbero spezzato il centralismo burocratico e favorito l’introduzione di forme di proprietà collettiva. Ci fu persino chi azzardò un parallelo fra l’ordinamento regionale e la Comune di Parigi (sic!).

Con maggiore sobrietà i governi di centrosinistra misero all’ordine del giorno la riforme regionale fra il 1965 ed il 1967 proponendosi di raggiungere questi fini:

a) - un avvicinamento dei cittadini ai centri decisionali, quantomeno per alcune materie;

b) - il riequilibrio fra le regioni meridionali e quelle settentrionali attraverso una produzione legislativa differenziata e più aderente ai bisogni di ciascun territorio;

c) - una maggiore integrazione del sistema politico attraverso la consociazione dell’opposizione di sinistra alla gestione di alcuni importanti enti locali.

A distanza di 40 anni dall’avvio della riforma regionale (per i consigli regionali votammo per la prima volta nel 1970 e l’ordinamento entrò in fase pienamente operativa nel 1975) possiamo fare un bilancio:

1 - Non pare ci sia stato alcun avvicinamento dei cittadini alla gestione della cosa pubblica (e tantomeno possiamo parlare di forme di democrazia diretta) quanto, piuttosto, la crescita ipertrofica di un ceto politico regionale che si aggiunge a quello nazionale e lo supera quanto a voracità. Non si tratta solo dei circa 900 consiglieri regionali e dei relativi portaborse e sottopanza, ma anche della foresta di enti collaterali i cui consigli di amministrazione sono lautamente gettonati e dell’onda montante dei consulenti che è un modo garbato per designare clienti, portatori di voti e galoppini d’alto bordo. Non è esagerato stimare nell’ordine delle 40-50.000 unità questo ceto politico aggiuntivo e collaterale.

2 - La diversificazione legislativa fra le varie regioni c’è stata - come era ovvio che accadesse - ma non ha affatto prodotto alcuna attenuazione del dualismo economico del paese: il divario è ancora non superato se non in minima parte. Piuttosto, l’esercizio del potere legislativo da parte delle assemblee regionali ha ingrossato il fiume dell’ipernormativismo degli ultimi 30 anni (e non ce ne era affatto bisogno) ed ha accentuato le diseguaglianze fra cittadini, come è si dimostra in particolare nel settore della sanità, dove le prestazioni ospedaliere e la normativa sui ticket fanno registrare disparità del tutto ingiustificate.

Infine, l’avvicinamento del centro decisionale alla base elettorale ha comportato - come sempre - una netta propensione all’aumento della spesa, del che, in un paese come l’Italia, non si sentiva affatto bisogno.

E allora, perché non cominciamo a prendere in considerazione la possibilità di abolire le regioni?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Luca Troiano (---.---.---.64) 23 ottobre 2013 13:11

    Io sono due anni che lo ripeto...

    Ma siccome noi italiani ragioniamo (???) solo per luoghi comuni, tutti giù a scagliarci contro le province, elevate a male assoluto solo perché la politica le ha moltiplicate come pani e pesci, mentre gli sprechi (veri) avvenivano più in alto.
  • Di Il Gufo (---.---.---.115) 23 ottobre 2013 14:29

    E’ una stronzata, ora vi spiego anche perchè: le Province sono un retaggio del passato, una struttura amministrativa priva di legami con i fondamentali del governo.
    Per quanto le differenze regionali siano molto grandi (abitanti, economia, risorse, ecc.) rispecchiano una divisione coerente con le basi dell’amministrazione: sono omogenee al loro interno.
    Le Province ed amministrazioni collegate sono un mero strumento al servizio delle prebende politiche: vanno dalla dimensione strettamente metropolitana di Milano a Cuneo, più grande del Molise, la cui amministrazione si occupa dello stesso territorio di una regione.
    Senza dire della disomogenità interna delle Province: la provincia di Roma si occupa di Roma città, e la provincia a chi la facciamo governare? Alla mafia? Dove vivo, provincia nata per "sdoppiamento" di una provincia più grande, la stessa struttura governativa si occupa di due cittadine, campi e qualche montagna. Doppia spesa, NESSUN risultato.
    A me di leggere ’ste sparate fatte senza conoscere l’amministrazione del territorio ricordano i leghisti, le loro vacche e le loro fabbrichette che volevano il federalismo microregionale; il federalismo dal vicino di casa.
    Idioti, o ingenui, stessa pasta sono.

    • Di Il Gufo (---.---.---.115) 23 ottobre 2013 14:50

      Dimenticavo riguardo all’articolo: i conti economici li lascerei fare a chi li sa fare.
      Gli enti articolati per Province, con la scomparsa delle stesse, andrebbero a Comuni o Regioni quando necessarie, altrimenti abolite.
      La questura a Cuneo invece che Torino serve, il distretto militare è un bel posto per farci un museo: ha storia, ma non ha presente nè futuro senza la leva obbligatoria.
      L’intendenza di finanza "federalista" in un economia globalizzata serve come un frigorifero al Polo, dei Provveditorati agli studi ed alle opere pubbliche non parlo per carità di patria...
      Solo per tornare alla matematica: risparmio di più ad abolire 20 o abolire 110? A maggior ragione quando i mille rivoli di spesa pubblica sono strutturati sulla base di 110 invece che di 20.
      Una nota storica: la recente storia d’Italia nasce con i Comuni, di cui non si può fare a meno. Li stiamo lasciando fallire, andrebbero potenziati: sono le uniche entità in cui il controllo della spesa può essere davvero fatto dai cittadini.

    • Di (---.---.---.81) 23 ottobre 2013 17:30

      Ma quante stupidaggini hai detto? Che insalata di enti, competenze, maccheroni ... hai fatto?
      Abolirei i commenti come i tuoi che nulla dicono di serio e di fondato!
      Lì ci sarebbe risparmio, quantomeno di tempo di chi ha la bontà di leggere ... il nulla!

  • Di (---.---.---.62) 23 ottobre 2013 18:19

    Pienamente d’accordo con Giannulli. Le regioni sono un fallimento sotto ogni punto di vista e andrebbero eliminate ritrasferendo le competenze ai ministeri o dov’è possibile alle province e ai comuni.

    Ma la vedo dura. Mandare a zappare quei 40-50.000 parassiti che vivono di politica regionale mi sembra quasi impossibile.

  • Di (---.---.---.12) 10 novembre 2013 18:09

    Io credo che non servano né le Province, né le Regioni. Le Regioni possono essere trasformate in consorzi intercomunali di acquisto di prestazioni sanitarie con ambito demografico ottimale non inferiore a 1.000.000 di abitanti. Tutto il resto si può sbaraccare velocemente ed efficacemente. Per l’intercettazione dei fondi comunitari basta creare qualcosa di simile alla Cassa per il Mezzogiorno con lo specifico compito di supportare i Comuni meridionali nella presentazione di idonei progetti infrastrutturali al vaglio delle istituzioni comunitarie.
    Rocco Di Rella
    ([email protected])

  • Di (---.---.---.45) 23 novembre 2013 10:26

    Fa piacere leggere ciò che dico da tempo: ELIMINARE LE REGIONI E L’INSANO POTERE LEGISLATIVO LOCALE.

    Chi, come me, si occupa di permessi e lavora con le legislazioni affronta, quotidianamente, situazioni che sfiorano il paradossale ed il grottesco.

    Ciò che vale in Friuli non necessariamente vale in Veneto, i moduli sono diversi, i limiti, parametri sono diversi.

    Facciamo un esempio: legislazione turistica, materia regionale, fa si che la stessa classificazione delle stelle degli alberghi possa essere diversa a seconda delle Regioni.

    Per non parlare di amenità come aziende con sedi in Regioni diverse sottoposte a procedure diverse ! Follia !
    Poi abbiamo N. persone che lavorano per partorire N. documenti, linee guida, circolari, procedure sostanzialmente uguali ma diverse.

    L’Italia è sostanzialmente un buco di terra ed il federalismo in questa situazione è un aborto che ha creato solo burocrazia inutile e spesa di soldi.

    Via tutti i potere ligislativi regionali - provinciali - comunali, lasciamo solo la possibilità di scegliere valori entro tabelle pre-definite uguali per tutti ! Almeno le aziende ed i cittadini sanno a cosa vanno incontro seza dovere, ogni volta, studiare N. legislazioni del cavolo.

    Si a provincie con soli poteri amministrativi e stipendi standardizzati come normali dipedenti, via anche tutto il carretto delle elezioni: se non devono legiferare e sono solo organi amministrativi, perchè pagare stipendi da politici ????

  • Di (---.---.---.85) 15 gennaio 2014 22:45

    Avanzo una proposta, anzi qualcuna: aboliamo i consigli regionali, i presidenti di regione e i consiglieri regionali azzerando compensi, buone uscite, TFR etc. Le regioni esisterebbero solo ed esclusivamente come suddivisioni geografiche della Penisola.
    Riduzione numero delle province e abolizione dei consigli provinciali, del presidente di provincia etc. Le funzioni delegate al vecchio prefetto che potrebbe essere nominato dai sindaci di ogni capoluogo oppure direttamente dal Ministero dell’ Interno, spese contenute, il prefetto nomina il suo vice (sotto prefetto) e una squadra (con numero limitato) di esecutori.

    Che ne pensate?

  • Di (---.---.---.85) 20 febbraio 2014 20:43

    Vorrei segnalare che a Grosseto è nata un’associazione che raccoglie firme per chiedere (tra l’altro) l’abolizione delle regioni.

    Cercate su youtube: rasoio di Occam - abolire le regioni

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