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A mio nonno non piaceva la guerra, caro signor Vespa

So che ha dedicato una sua puntata televisiva ai cento anni della grande guerra, caro signor Vespa, invece io le racconto che mio nonno, Natale Goracci, era un giovane contadino a mezzadria quando lo chiamarono al fronte a fare l'alpino e lasciò una quasi fidanzata in Toscana, mia nonna Carolina Fanciulli detta Pia.

 

Erano in quella parte di terra che stava tra Torrita e Montepulciano, quella parte di terra toscana che quando erano ragazzi facevano in bicicletta anche in due per andare a ballare, perché, se anche erano i primi del '900, a loro piaceva vivere e fare l'amore e nessuno gli chiedeva di nasconderlo, tantomeno il prete.

Mi raccontava nonno, che era di pochissime parole ma tanti sorrisi, che si ritrovò  la guerra in montagna e lui non si scordò mai più quel freddo fuori e dentro. Mia nonna gli mandava calze e maglie fatte a mano ma chissà se arrivarono... poche lettere perché erano quasi analfabeti.

Poi nonno ce la fece, e non morì. E nei primi anni '30 emigrò a Roma a fare il portiere per i Beni Stabili, dopo alcuni anni gli diedero una casetta all'ultimo piano di Piazza Colonna, forse 35 metri quadrati e forse 1.000 metri di terrazza. Fece dei vasconi di terra immensi (a me sembravano così), con i filari di uva, le verdure per l'inverno e l'estate, rosmarino e salvia così che nonna faceva le patate insaporite e i gnocchi con il sugo, in quella cucina piccola come neanche uno stanzino, ma dove il gatto Pimpi riusciva ad entrare e rubacchiare qualcosa.

Gli anni della mia infanzia sono fermi in quella casetta dove nonna mi faceva giocare con le sue mollette di ferro per fare l'onda ai capelli, dove mi portava per le strade intorno alla Fontana di Trevi dalle sue amiche mercantine; mi fece bere il primo caffè e fumare la prima sigaretta. E poi tornavo nella guardiola di nonno, nel suo ufficio e non vedevo l'ora che arrivasse per pranzo che non gli pareva vero di trovare il piatto di pasta, e poi si metteva il grembiule grigio e faceva i lavori di fuori, sapeva lavorare anche il legno.

Mi rimane una loro foto, nonna con un' espressione arcigna che non è da lei e nonno dolce e sereno come l'ho sempre conosciuto con il gatto Pimpi: tutti tranne Bianchina si chiamarono così i mici.

Si rabbuiava solo quando parlava di quella guerra e di tutto il freddo che prese, dei morti che erano freddi pure loro, e allora fumava una sigaretta e tirava giù a mezza voce una quasi bestemmia del tipo porcodirindina... Nonna cantava Pia dei Tolomei onesta e sgherra, ma una volta mi disse che c'era un altro che le faceva la corte mentre nonno era in guerra, ma lei scelse lui per sposo.

 

Lui non ci sarebbe voluto andare al fronte, a nonno non piaceva la guerra e per fortuna non fu ammazzato e neanche ammazzò nessuno. Nonno votava comunista e nonna pure, a loro piaceva Togliatti e farci una croce sopra come lui diceva alla tivù, ma negli ultimi anni, tanto lui era morto, scotevano la testa.

Mio padre era diventato socialista: la guerra non piacque per niente neanche a lui, Osvaldo Goracci, unico loro figlio. Sarebbe diventato un giovane anonimo partigiano, in quella seconda e tragica ripetizione di morte. I Goracci non hanno avuto eredi maschi ma tre femmine e detestiamo la guerra, tutte, compresi i nipoti e le nipoti che non hanno potuto conoscere. Rimanga almeno questo ricordo di pace, perché come disse Abraham Lincoln "Non c'è niente di buono nella guerra, eccetto la sua fine".
 

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