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A chi molto ed a chi poco: a L’Aquila

Tutti hanno subito 18mila inevitabili scosse, perché alcuni devono stare come deportati in 18 evitabilissime new town?

 
Molinari invita alla lotta, una lotta sia pure pacifica, perché ogni villaggio del progetto Case abbia una chiesa”. Così, Enrico Nardecchia de “Il centro” titola il suo commento all’undicesima lettera pastorale del presule (Consolate il mio popolo), nella quale si legge Continueremo a lottare pacificamente perché ci siano offerti spazi e strutture idonee per ricreare i luoghi di culto necessari a ogni comunità”.
 
Quantunque, per sopperire all’inagibilità di quelle presenti nella zona a causa del terremoto, i Comuni della Val Rendena avessero già donato una nuova Chiesa alla comunità di Paganica. Per gestire l’iniziativa della costruzione di un nuovo luogo di culto, i Trentini fondarono pure il “Comitato Nuova chiesa Paganica”. Per Marzo 2010, si prevedeva l’inizio del cantiere. La costruzione a cura di Ille Prefabbricati Spa.. In Abruzzo, in A.t.i con Belwood, l’impresa di Spiazzo Rendena ha realizzato sei case nei C.A.S.E. (tre a Roio Poggio, due a Tempera ed una a Paganica2), oltre ai P.A.T. di Onna e Coppito, ai M.A.P. ad un piano (Castelvecchio, Goriano, Subequana, Cardamone, Collarino e alla Caserma Rossi) e bi-piano (Preturo e Camarda), e sta costruendo Residences per le suore (presso il Centro Spirituale Sant’Agostino de il Monastero di San Basilio). Mentre, in Piazza d’Armi a L’Aquila, in subappalto da Meraviglia Spa, realizza anche le strutture portanti della Nuova Chiesa e mensa di San Bernardino.
 
Per la Chiesa di Paganica era già stato scelto il sistema costruttivo, ma non il terreno dove edificarla.
 
Nuova Chiesa di Paganica. Progetto: dott. ing. Massimo Caola - Pinzolo (TN)
 
Infatti, nella new town Paganica2, tutte le aree sono di pertinenza degli edifici, oppure costituiscono le “corti” (i giardini), i parcheggi e le strade del quartiere. Per l’emergenza, ordinanza dopo ordinanza ed appalto dopo appalto, la Protezione Civile ha realizzato 13 edifici ed altri 12 sono stati finalmente terminati a Febbraio 2010. Così, in questo Complesso Antisismico Sostenibile Ecocompatibile c’e posto per circa 2.300 persone che dovranno attendere, pazientemente e per alcuni anni, la ricostruzione delle loro vere case, altrove quasi dimenticate.
 
Si sa che, per legge, nel realizzare ogni nuovo insediamento residenziale tramite un piano esecutivo (cioè, con un P.E.E.P. d’iniziativa pubblica o con un P.E.C. d’iniziativa privata), si dovrebbe destinare a pubbliche attrezzature una quantità di aree commisurata ad almeno 18 metri quadrati per ciascun abitante insediabile. Con il Piano C.A.S.E., invece, dei 41mila metri quadri necessari a rendere “abitabile” questo nuovo quartiere, di metri quadri ne hanno destinati soltanto zero, zero. Come si vede chiaramente nelle seguenti planimetrie.
 
 
Planimetrie: del C.A.S.E. Panica2: a sinistra, con i 13 edifici iniziali; a destra, con tutti i 25 edifici.
 
Anziché una new town, a Paganica2 hanno fatto esclusivamente delle normalissime case provvisorie, prefabbricate ma costosissime, perché dotate di ciclopiche autorimesse antisismiche interrate. Auspicando gratitudine e “voti”, sono riusciti a farle considerare anche durature, ma giammai permanenti. Infatti, anche a Paganica, le macerie delle case giacciono ancora attorno alle chiese preesistenti (parrocchiale e monumentale) che tuttora sono gravemente lesionate, nonostante siano state comprese nella “lista nozze” del G8, divulgata ai quattro venti, pure da Porta a Porta. Così, Bruno Vespa ha faticato assai per ribadire quanto straordinario e grandioso debba essere considerato, anche oltre la fase dell’immediato soccorso, tutto quanto è stato fatto dalla Protezione civile di Bertolaso. Anche perché sono via via aumentati quelli che considerano le “cose” fatte a Paganica2 nulla più che semplici abitazioni temporanee, come i “container”, solo di nuovissima concezione. Per certi insetti, tutto quanto è miracoloso se c’è …, ma già per le pecore, nei luoghi di transumanza non bastava fare dei semplici ricoveri, perché ivi qualcuno doveva viverci e lavorarci.
 
I C.A.S.E., con solo case, sono luoghi di deportazione provvisoria della gente. Per Giusi Pitari, le new town sono solo una NO TOWN. Perciò, ogni domenica, molti cittadini si ritrovano per ricostruire la loro comunità. Spalando le macerie e producendo idee e proposte concrete per la ricostruzione della città. Mentre, chi a volte produce miele per i capi popolo della libertà non si fida della ricostituzione della polis che il “popolo delle carriole” rappresenta. Con ogni mezzo mediatico, allora occorre tacitarne i portavoce. Solo gli Amministratori eletti hanno diritto di parola, anche se i nuovi commissari mantengono il segreto sia sul contenuto del “masterplan” sia sul nome del progettista incaricato alla redazione d’uno strumento che, da molto tempo, dovrebbe costituire la cornice di tutte le iniziative per il sostegno delle attività produttive, per il restauro ricostruttivo delle case e dei monumenti (chiese comprese) in tutti i centri storici del cratere, nonché per il recupero di ogni area periferica colpita dal sisma. Non si parli delle condizioni d’esistenza e di lavoro di molti concittadini, gli ascoltatori devono essere tranquillizzati, anche con le bazzecole di Chiodi ed i lagnosi balbettii di Cialente. Deve continuare il solito gioco, con applausi a C&C, senza dimenticare mai B&B!
 
Allora, per gioco, anziché i soliti plastici del luogo del delitto, ora mostriamo queste immagini:
 
 
E poi domandiamo: a cosa si riferiscono, quali differenze si notano tra le due e cosa indica la freccia. Forse, non risponderanno coloro che, a L’Aquila, prima dovevano compiere solo una missione diversa da quella d’informarsi e d’informare e poi quella d’impollinare gl’ingrati, già impallinati nei C.A.S.E., con il seme mellifluo dei pochi dissenzienti all’uopo sbocciati su Facebook. Ora, i cittadini temuti, contrastati e divisi replicano in modo strano: “I Comitati cittadini e la CNA hanno una semplice idea: definire una proposta concreta e organica, assieme agli altri attori interessati (Associazioni di categoria, associazioni ambientaliste, imprese produttrici, ecc.), in cui siano definiti i principali elementi (edifici pubblici ed edifici privati oggetto dell’intervento, costi, risparmi, altri benefici economici, sociali ed ambientali, ecc.) e portarla all’attenzione delle Istituzioni responsabili della ricostruzione, in modo da individuare le risorse per avviare quello che si preannuncerebbe come una “storica” rivoluzione nel processo di ristrutturazione, e che farebbe dell’Aquila un modello non solo nazionale ma mondiale, sulla scia della già nota sostenibilità realizzata nel progetto C.A.S.E.
 
Dove mai si andrà, “sulla scia della già nota sostenibilità realizzata nel progetto C.A.S.E.”? Per ora, alla ristrutturazione che certi architetti e certi esponenti dell’ANCE sanno benissimo essere cosa diversa del restauro sia architettonico sia urbanistico. Pertanto, anche ai componenti del Comitato 3e32, occorre chiedere: quanti “container” vedete nella prima immagine d’un pezzo della new town Paganica2? Quanto è sostenibile questo C.A.S.E., con 25 case ma privo d’una chiesa o d’una qualsiasi pubblica attrezzature per la residenza, senza alcuna ripresa del lavoro stabile e senza relazioni sociali e comunitarie tra i suoi occupanti? Ad Onna, sono state costruite le case dei C.A.S.E., oppure dei semplici M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori)? Se optate per la seconda opzione della domanda precedente, saprete dire anche il perché ed il per come, ma forse vi sfuggirà un particolare: ovvero che in realtà quelli sono dei P.A.T. (moduli abitativi provvisori costruiti con il contributo della Provincia Autonoma di Trento). Ed infine: cosa indica la freccia gialla? Volete un aiutino? Eccolo: l’edificio indicato è stato progettato da una studentessa di Architettura, morta nel crollo della casa dello studente. Quindi le è stato dedicato. Siamo certi che lo sapevate e che non dimenticate.
 
Forse, ritenete non abbia alcun senso porre ancora queste domande. In primis, per il primo cittadino che non ha mai chiarito perché ad Onna si abita in dignitosissime casette di legno nei pressi del nucleo storico preesistente. Si “abita”, perché i piccoli sono ospitati nell’asilo “Giulia Carnevale”, costruito entro il nuovo villaggio, ed i grandi hanno saputo stare tutti insieme vicino al “luogo” da ricostruire. Perché a chi molto ed a chi poco? Tutti hanno subito 18mila inevitabili scosse, perché alcuni devono (se non abitare perché senza chiese, asili e pubbliche attrezzature) stare come deportati in 18 evitabilissime new town?
 
In gran parte realizzate lontano dal centro e dall’immediata periferia del capoluogo perché i terreni della banlieu proche erano della Curia o d’altri noti notabili locali, quindi in futuro ben più “valorizzabili”. Il Sindaco, non ha mai esibito il piano regolatore vigente e quindi non ha dato la possibilità di dimostrare quanto i C.A.S.E. fossero insostenibili anche con la preesistente destinazione d’uso dei suoli. Chiese solo di farli, con alcune aree per i sevizi, il più possibile vicino alle frazioni. Ottenne solo mostri ecologici ed ambientali, privi d’un “cuore” urbano, capaci di distruggere anche l’anima della città. Tanto insostenibili quanto onnivori di tutte le risorse disponibili. Come il cuculo, hanno fatto cucù agli allocchi: hanno portato cibo solo per i loro piccoli e scacciato tutti dal proprio nido.
 
Ricostruire una casa o un palazzo, sostiene Pier Luigi Cervellati, anche se sono storici è abbastanza facile. Bisogna conoscere le regole e i sistemi costruttivi. Si è sempre fatto: dopo le catastrofi; quando si vuole trasformare una casa in palazzo o in un altro fabbricato più grande, più solido e una volta, si diceva, più bello. Poi sempre più spesso la ricostruzione è servita per fare maggiori guadagni. Ricostruire una città è invece molto, ma molto difficile. Quasi impossibile. Quando una città diventa macerie e rovine, ci si illude di poterla ricostruire facendone (come si è deciso di fare all’Aquila) una nuova. Nuove saranno le case, magari bellissime, spaziose, ma la città non c’è; si è solo allargata la periferia. Periferia che disperdendosi nel territorio cancella la città, come appunto nel caso dell’Aquila dopo il terremoto dell’anno scorso. Si è fatto tanto, ma la città non è stata restituita ai suoi abitanti e chissà quando lo sarà. Una città non è fatta solo di case e di abitanti. La città rappresenta una comunità. Con i suoi “valori”, la sua memoria, le sue tradizioni, la sua identità. Il suo futuro. C’è solidarietà e conflittualità. C’è “vita”, come direbbe un antropologo saggio e un poco retorico. La città è un bene comune. Appartiene alla collettività. La casa è di chi la abita. Se la città finisce di essere tale perché si pensa di migliorarla con una “new town” non c’è ricostruzione possibile. La ricostruzione di case e chiese, palazzi e monumenti, strade e piazze per restituire la città come bene comune, dev’essere prioritaria, perché la città è prima di ogni altra cosa storia e cultura, lavoro e natura di chi ci vive. Dispersa nella campagna la città non esiste più. …”
 
Coerentemente con quest’analisi, e con Italia Nostra, l’urbanista propone una legge speciale per la ricostruzione. Inveve, Renzo Piano dice che le new town dovevano essere fatte. Dovrebbe sapere che se una cosa serve, ci sono mille modi per farla. Infatti, per la stessa esigenza, a Camarda hanno fatto prima un C.A.S.E. deturpante con 125 alloggi in 5 edifici a tre piani disposti sulle costosissime piattaforme antisismiche e poi un M.A.P. più modesto con 34 unità abitative in edifici a due piani, posati su semplici platee in c.a.. Inoltre, se necessarie, perché sempre e supinamente condivise? Invece, sulla ricostruzione, la predizione è alquanto sorprendente: “L’aquila si può ricostruire”. Per fortuna, una “archistar” trasforma sempre una “banalità” in utilità. Ed indica pure la via maestra da percorrere. Ovvero, senza un “piano” preventivo, inutile perché dannoso e ritardante, tutto si fa con semplici progetti (magari eco-sostenibili, come il grattacielo di Banca-Intesa a Torino).
 
Chi troppo e chi nulla, anche nelle proposizioni. Ed allora, a risolvere la nuova emergenza, forse torna San Guido, con ordinanze, appalti e subappalti. Chiodi andrà al Coordinamento delle Regioni e Cialente, per gestire con “dalemiana” efficacia anche l’Expo del 2015, potrebbe essere candidato a fare il sindaco di Milano.

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