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"A Quiet Place – Un posto tranquillo": l’assordante silenzio della paura

Nel 2020 la Terra è stata invasa da strane creature aliene prive della vista ma altamente sensibili ai rumori più forti. L’unico modo per sopravvivere è quello di affidarsi alla lingua dei segni e di muoversi nel più totale silenzio. Ed è quello che fa la famiglia Abbott, formata da Lee (John Krasinski), la moglie Evelyn (Emily Blunt), la figlia sorda Regan (Millicent Simmonds) e i figli Beau (Cade Woodward) e Marcus (Noah Jupe). Circa tre mesi dopo l’attacco Regan causa indirettamente la morte di Beau, in quale viene ucciso da una delle creature. Un anno dopo la famiglia sembra aver ritrovato la serenità, considerato anche il fatto che Evelyn aspetta un bambino. Ma Regan si sente sempre più in colpa per la morte del fratello e ciò non fa altro che allontanarla da suo padre. Nel frattempo alcuni degli esseri alieni hanno individuato la presenza del nucleo famigliare e, così, le possibilità di sopravvivenza iniziano a diminuire.

Alla sua terza prova da regista, l’attore John Krasinski tenta il colpaccio e con A Quiet Place – Un posto tranquillo (A Quiet Place, 2018) lo mette a segno. Sagace miscela di sci-fi e horror A Quiet Place, al di là della commistione di generi, si rivela essere fin dalle battute iniziali, egregiamente costruite in medias res, uno spaccato di vita famigliare, un dramma corale su un nucleo in preda al lutto e alla più bieca disperazione in un mondo ormai sbriciolato, dilaniato e reso quasi irriconoscibile da forze superiori e sconosciute. La potenza filmica di A Quiet Place risiede proprio in questo: nel non lasciarsi abbindolare – solo ed esclusivamente – su un ampio e variegato campionario orrorifico a cui, ormai, tanto cinema ha abituato ma, semmai, fa l’esatto contrario, concentrandosi alacremente sull’intimità famigliare che, nonostante le avversità, rimane in piedi senza subire rotture o crisi. Il cuore pulsante di A Quiet Place è la famiglia protagonista, ben caratterizzata dai personaggi di Krasinski, Blunt e dai più piccoli Simmonds e Jupe che stabiliscono e marcano le coordinate di azione all’interno del terzo lungometraggio dell’attore di 13 Hours. L’escamotage del totale silenzio (che da una parte guarda al passato e al cinema muto) necessario alla sopravvivenza, diventa metafora dell’elaborazione del lutto, di un perdita che grava pesantemente ma senza parole di colpa alcuna sugli Abbott, spinti nel più totale isolamento per sopravvivere e continuare a vivere senza dover confrontarsi costantemente col dolore di un recente passato.

Tuttavia A Quiet Place non si ferma solo a sondare i legami e le dinamiche famigliari, bensì a costruire, lentamente e visceralmente, un crescendo di tensione senza pari: vuoi per le ambientazioni claustrofobiche, le quali si scontrano con gli scenari (quasi) immacolati della natura, vuoi per il perenne senso di minaccia l’opera di Krasinski mette in scena la corretta assimilazione della lectio sull’assedio johncarpenteriano, rendendo ogni spazio, luogo e riparo un potenziale pericolo di morte. A metà strada tra la fantascienza più classica, ovvero quella incentrata sul terrore proveniente dall’ignoto e su quell’horror più artigianale figlio degli anni Settanta e Ottanta, A Quiet Place si avvale di quell’impianto lovecraftiano basato sul perenne gioco del vedo non vedo e sull’orrore più suggerito che mostrato, dimostrando di avere la capacità di rendere “udibile” l’assordante silenzio della paura senza dover fare, per forza di cose, ricorso al più grandguignolesco e abusato splatter e, così, essere ancora più inquietante e angosciante di qualsivoglia macelleria messa in immagini. Horror non convenzionale e molto al di sopra della media del genere, A Quiet Place rappresenta la vibrante voglia di creare un’originalità propria, distanziandosi dal sempre più stantio cinema dell’orrore che, rispetto al passato, non regala più dei veri e in(sani) brividi di terrore e puri attimi di spavento.

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