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5G. Tra notizie, proteste e fake news

Le fake news sulla possibile correlazione tra il 5G e il coronavirus continuano a rimbalzare sui social e sul web, mentre i Comuni italiani che si dichiarano contrari sono ormai più di 200.

di Milly Barba

In una nota esplicativa, il Ministero della Salute chiarisce in via ufficiale che si tratta di fake news, comunicando che “non ci sono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G”, e aggiunge che “ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all’esposizione alle tecnologie wireless”, ma non basta. Allo stesso modo, sembrano insufficienti le voci dei tanti debunker che, in questi mesi di pandemia e non solo, si sono spesi per fare chiarezza e fornire una chiave per orientarsi tra infodemia e fake news.

Le correlazioni forzate e i complotti sulla connessione tra 5G e danni alla salute continuano a farsi strada, supportati, in particolare da Alleanza stop 5G, che aggrega “militanti impegnati sul territorio nazionale per difendere localmente salute pubblica ed ecosistema minacciati dal wireless di quinta generazione”.

Parliamo di un “comitato informale” le cui notizie sono veicolate per lo più attraverso un sito (che non è una testata giornalistica) con un focus “olistico” su “discipline bionaturali” e omeopatia, che si rifà alle teorie dell’attivista americano Arthur Firstenberg, autore de L’arcobaleno invisibile, tra i primi a sostenere l’esistenza dell’elettrosensibilità – per approfondire quello che realmente sappiamo a riguardo leggi qui -.

Lo stesso Firstenberg, senza competenze né evidenze scientifiche, si autodiagnostica quella che chiama “ipersensività elettromagnetica”, raccontata nel libro del 2017 Microwaving Our Planet: The Environmental Impact of the Wireless Revolution. Da questo saggio partono e si consolidano le teorie cospirazioniste che vedono una correlazione tra Wuhan, Coronavirus e 5G, promosse dal video, ora rimosso da YouTube, Virus e elettrificazione della terra del dottor Thomas Cowan. Delle teorie senza alcun supporto scientifico avanzate da Cowan, Butac.it offre una ricostruzione completa e dettagliata qui.

Cosa sappiamo sul 5G

Alessandro Polichetti, primo ricercatore del Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, in una nota esplicativa dell’ISS chiarisce le specifiche della tecnologia di telefonia mobile di quinta generazione – da qui il nome 5G – che dà luogo a nuovi scenari di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, emessi in bande di frequenza (694-790 MHz, 3,6-3,8 GHz e 26,5-27,5 GHz) diverse da quelle utilizzate attualmente per la telefonia mobile (da 800 MHz a 2,6 GHz). 

Tra i vantaggi, il 5G prevede: una velocità di trasmissione dati fino a 100 volte superiore a quella del 4G; celle 5G con consumo energetico limitato; aumentata capacità di trasmissione dati; un tempo di intervallo tra l’invio del segnale e la sua ricezione da 30 a 50 volte inferiore al 4G, tale da permetterci di comandare a distanza e in tempo reale dispositivi e apparecchi, nonché di monitorare lo stato delle infrastrutture. Una componente fondamentale, consentita dal 5G, riguarderà la possibilità di collegare fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato, 100 volte di più rispetto al 4G, senza impattare sulla velocità di connessione e consentendo lo sviluppo dell’Internet of Things, in cui sensori e dispositivi wireless comunicano direttamente tra loro.

Le tanto discusse e contestate antenne 5G, in una prima fase andranno ad aggiungersi ai sistemi preesistenti, nell’ottica di sostituire progressivamente in modo totale o parziale le altre tecnologie. Le azioni di diffusione del 5G, legate al 5G Action Plan della Commissione europea lanciato il 14 settembre 2016 per promuovere uno sviluppo armonico della tecnologia tra i diversi Stati, prevedono una copertura totale entro il 2025 (ulteriori info). 

Campi elettromagnetici a radiofrequenza: effetti sull’essere umano

Le contestazioni più frequenti, riguardo al 5G, pertengono i rischi sulla salute. Polichetti chiarisce che gli unici effetti sulla salute umana accertati dalla scienza sono quelli a breve termine, di natura termica, dovuti a meccanismi di interazione tra i campi e gli organismi biologici, non differenti da quelli causati da tecnologie di telefonia mobile di generazioni precedenti. L’energia elettromagnetica assorbita dai tessuti del corpo umano viene convertita in calore provocando un aumento della temperatura corporea generalizzato o localizzato, a seconda dell’esposizione. L’organismo può tollerare aumenti di temperatura inferiori a 1°C, soglia al di sotto della quale non si verificano danni per la salute.

A questo riguardo, gli standard internazionali sono severi e prevedono, anche grazie all’introduzione di opportuni fattori di riduzione, che la soglia degli effetti termici non venga superata. In Italia i limiti sono più stringenti e finalizzati alla tutela della salute a lungo termine. Sono normati dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz”. 

Per ciò che invece riguarda gli effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, la questione continua ad essere oggetto di studi scientifici epidemiologici e di laboratorio. A maggio 2011, un gruppo di 31 scienziati provenienti da 14 Paesi, si è riunito a Lione, presso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), per valutare il potenziale rischio cancerogeno associato all’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.

Dopo aver esaminato e valutato la letteratura scientifica disponibile a riguardo, lo IARC ha concluso che “il complesso degli studi esaminati non supporta l’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici, con l’eccezione di alcuni studi epidemiologici che hanno evidenziato, a differenza di altri analoghi, un aumento del rischio di glioma (un tumore maligno del cervello) e di neurinoma del nervo acustico (un tumore benigno) in relazione all’uso intenso di telefoni cellulari”. Per questi motivi la IARC ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2B) e non come “probabilmente cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2A), né come “cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 1, in cui sono compresi per esempio la radiazione solare e il radon presente nelle abitazioni). Un livello di rischio basso, che però solleva un problema di comunicazione, legato alla trasmissione efficace dei confini della classificazione individuata. 

Tra le “evidenze” supportate da coloro che cercano una relazione tra tumore e campi elettromagnetici a radiofrequenza, due studi condotti su cavie da laboratorio, quello realizzato dallo statunitense National Toxicology Program (NTP) e quello eseguito dell’Istituto Ramazzini di Bologna. Con limiti e risultati poco chiari, entrambi gli studi supportano l’ipotesi della cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, rilevando l’incremento di un tipo di neoplasia – lo Schwannoma cardiaco – nei ratti esposti rispetto ai non esposti. Ma i risultati sono poco chiari e prevedono, nel caso dell’NTP, livelli di esposizione superiori e non comparabili a quelli previsti per legge a cui è soggetto chi utilizza un telefono cellulare. 

Si evince, quindi, come specificato dall’esperto ISS, “che i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della popolazione connessi all’introduzione del 5G. Tuttavia è importante che l’introduzione di questa tecnologia sia affiancata da un attento monitoraggio dei livelli di esposizione (come del resto avviene già attualmente per le attuali tecnologie di telefonia mobile) e che proseguano le ricerche sui possibili effetti a lungo termine”.

 

Immagine: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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