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"2001: Odissea nello spazio" – Il punto di partenza (ma non di arrivo) sulle origini del tutto

Cinquant’anni fa il Maestro Stanley Kubrick portava nelle sale cinematografiche uno dei capolavori della fantascienza, quel 2001: Odissea nello spazio che, ancora oggi, è fonte di accesi e complessi dibattiti. In occasione dell’anniversario dall’uscita, (ri)scopriamolo insieme. 

Intavolare un discorso su Stanley Kubrick e sulla sua filmografia è stato e tutt’oggi è un salto nel buio. Una sfida, un percorso esplicativo e analitico pieno di insidie e incognite. Eppure sul grande Maestro del cinema si è scritto di tutto e di più oppure, semplicemente, non è ancora stato detto abbastanza. E oggi, a distanza di cinquant’anni dall’uscita di uno dei suoi capolavori, se ne torna a discutere. 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) è l’opera fomentatrice di una scissione, di una fantascienza pre Kubrick e post Kubrick attestandosi, con molte probabilità e senza dubbi, come il punto di non ritorno di un genere. Ma, nonostante questa (sud)divisione, 2001 va ben oltre i confini del genere stesso: troppo riduttivo e semplicistico catalogarlo come lungometraggio di fantascienza così come, allo stesso tempo, sarebbe impreciso non farlo rientrare nell’alveo del genere.

L’ottavo film di Stanley Kubrick accetta la sua stessa origine dalla quale, tuttavia, rifugge in un continuo alternarsi tra scorci di paesaggi lunari e sfondi più onirici, riflessioni esistenzialiste e filosofiche, etiche e bioetiche, musica e visioni ancestrali. Considerata la sua stessa natura sfuggente, l’unica sicurezza su 2001: Odissea nello spazio è che è il punto di partenza (ma non di arrivo) sulle origini del tutto: dai primordi alle più avanzate tecnologie che l’uomo è capace di creare, il film di Kubrick sonda dagli albori sino al presente (presente che non per forza deve coincidere con la contemporaneità) l’evoluzione e – al tempo stesso – l’involuzione della specie: per quanto la tecnologia possa avanzare e, di pari passo, migliorare ed ottimizzare l’esistenza umana, l’uomo è e rimarrà sempre vittima delle sue stesse conquiste, di quegli upgrade tecnici, elettronici ed informatici mediante i quali cerca di sostituire se stesso e la sua mente pensante, capace di raziocinio e decisioni, con qualcosa di inumano, fatto di circuiti, schede madri, processori e componenti di silicio, un essere altro da sé sì capace di ragionare e svolgere compiti prettamente umani ma che – tuttavia – manca di empatia, di quella capacità di andare oltre la sua stessa programmazione dicotomica, binaria, di zeri e uno, di sì e di no. Non è un caso, quindi, che il supercomputer di bordo che accompagna la spedizione spaziale al centro di 2001, quel famigerato HAL 9000 entrato di pieno diritto negli annali delle A.I. di fiction, fallisca proprio nel suo compito, quello di mentire, di celare a qualsiasi costo (anche al prezzo di uccidere) la verità sull’esistenza, su quella origine all’alba dei tempi fin quando l’uomo, creatore di altre “entità” non umane, si capacità che nessuna macchina, nessun sistema informatico può (e deve) manipolare e sancire il giudizio sulla vita e sulla morte: ed è qui, nel superamento della dipendenza dalle macchine che l’essere umano si inabissa nell’ignoto, nello spazio più profondo, oscuro, sconosciuto, spettrale, pauroso per trovare se stesso e, al contempo, annullarsi.

Perché, in fondo, che cos’è 2001: Odissea nello spazio se non la rappresentazione metaforica ed allegorica dello stesso cammino esistenziale dell’essere umano? Di quell’uomo che pensa di conoscere veramente le sue origini, che crede di sapere dove (e come) sta andando ma, nonostante tutto, continua e continuerà ad interrogarsi sempre su ogni cosa, in un sempiterno e ciclico loop che, come nel finale stesso di 2001 che vede il passaggio dalla morte alla nuova vita sulle note del poema sinfonico di Richard Strauss Così parlò Zarathustra, non fa altro che lasciare ulteriore tempo e spazio al guardare oltre, quello stesso oltre cosmico osservato e inglobato dai neo occhi dello starchild kubrickiano, il quale racchiude in sé passato, presente e, forse, futuro.

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