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1963-2011, come nasce il "Partito del Cemento" italiano

3 metri2 di terreno al secondo, 30 ettari al giorno: è, secondo i dati del rapporto Ispra 2018[1], il consumo di suolo in Italia nel 2017, quasi invariato rispetto al 2016.

Altri dati, del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, evidenziano come l'Italia sia passata dal 2,7% di suolo consumato negli anni Cinquanta al 7,64% (+184%) di oggi, un'area «irrimediabilmente compromessa» grande quanto Campania, Liguria e Molise insieme. Tra il 1950 e il 2000 l'Italia ha «mangiato» 5 milioni di ettari di suolo agricolo. Un problema che la crisi economica del 2008 – quando l'urbanizzazione viaggiava ad 8 metri2 al secondo – ha rallentato ma non fermato. Perché la natura del consumo di suolo risponde a logiche politico-affaristiche completamente slegate dalle reali necessità costruttive del Paese. Una scelta che costa agli italiani tra i 600 e i 900 milioni di euro l'anno.

Per approfondire:

Siamo il Paese in cui uno dei più importanti eventi sportivi – il Giro d'Italia – viene ridotto nella sua tappa di Roma per l'eccessivo numero di buche sull'asfalto (una ogni 15 metri secondo il Codacons) e che multa chi prova a segnalarne la pericolosità; siamo il Paese in cui chi prova a chiedere “Basta cemento” e “Acqua e aria sane” viene accusato di «attentato al decoro pubblico» per aver esposto due striscioni dalla finestra – come avviene a Gabriele Fedrigo, cittadino di Negar – ma soprattutto siamo il Paese in cui 90.000 persone muoiono, ogni anno, per «polveri sottili e ossido di azoto»[2] soprattutto in Pianura Padana, l'area più inquinata d'Italia dove è previsto il maggior investimento per trasporto su gomma.

Tav Torino-Lione, quando lo Stato si schiera contro se stesso

Oltre mille poliziotti, carabinieri antisommossa e finanzieri lanciati contro la gente comune[...]i sindaci in prima linea, rappresentanti dei cittadini regolarmente eletti, presi a sberle dai carabinieri, con frasi tipo: “Lei chi si crede di rappresentare con quella fascia tricolore?”. Altri presi a cazzotti e buttati a terra, gente con le mani alzate e disarmata, che ribadiva la protesta PACIFICA [maiuscolo nell'originale, nda], spostata di peso dai prati espropriati

È il 31 ottobre 2005 e a raccontare quanto appena avvenuto sul monte Rocciamelone (850 metri d'altezza al confine tra la Val di Susa e la Valle di Viù, Torino) è Luca Mercalli, meteorologo, volto noto della Rai e abitante di una valle da cui passa il 30% delle merci che valicano le Alpi. Dal 1996 su quello stesso monte campeggia la scritta “No Tav”: un “no” che viene da un'area in cui già si trovano il traforo del Frejus (autostrada e ferrovia); due strade statali; due elettrodotti e dove dal 1990 Italia e Francia – che dal 2017 ha «messo in pausa» il progetto – vogliono far passare l'Alta Velocità Torino-Lione, 235 km di un Corridoio paneuropeo Lisbona-Kiev mai realizzato. Uno dei punti cruciali del tracciato è il monte Musinè: “bucarlo” significa liberare amianto in un'area già nota per l'alta incidenza di morti per tumore.

Per rendere meglio l'idea di questo «Stato contro Stato», che in Val di Susa ha creato il «cantiere più difeso del mondo in tempo di pace», basti considerare che nel 2011 due sindaci No Tav – Simona Pognant (Borgone) e Mauro Russo (Chianocco) – vengono processati per lesioni a due agenti di polizia nella stessa aula-bunker del carcere di Torino dove negli anni '80 si processano le Brigate Rosse. Il progetto Torino-Lione, oggi in discussione tra le forze di governo – e già bocciato dallo specifico Osservatorio della Presidenza del Consiglio dei ministri – è il più noto dei white elephants” italiani, infrastrutture cioè dai costi eccessivi e dai benefici scarsi, su cui spesso gravano sovrapprezzi legati a quella corruzione che, evidenziano Corte dei Conti ed Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), fa lievitare i costi delle opere pubbliche italiane del 40%.

Per approfondire:

Chi vince tra grande opera e democrazia?

Le “grandi opere” sono indice particolarmente interessante per valutare il grado di democrazia di un Paese: dall'ideazione alla progettazione esse investono i rapporti eletti-elettori e quelli tra maggioranza e opposizione – nazionali e locali – tanto quanto la repressione dei diritti civili, il rapporto tra economia, politica e corruzione e quello tra economia legale e illegale.

È, di nuovo, 99% contro 1%: da un lato i movimenti contro la brutalizzazione del territorio, dall'altra la speculazione fondiaria e finanziaria. Una frattura in cui la politica è spesso strumento di repressione – anche militare – del dissenso. Una frattura che pone una domanda fondamentale per il futuro sanitario, ambientale, politico ed economico dell'Italia: come si decide l'utilità di una grande opera?

La formula matematica della corruzione

Un metodo molto usato in Italia, come dimostrano varie inchieste giudiziarie, è riassumibile con una la “formula Klitgaard”:

C=M+D-A

Corruzione è uguale a monopolio più discrezionalità (o segretezza) meno “accountability”, cioè il grado di responsabilizzazione dei decisori, a cui va aggiunta l'opacità del processo decisionale: è la formula matematica della corruzione, ideata da Robert Klitgaard, tra i massimi esperti mondiali del fenomeno. Più alti sono monopolio e segretezza maggiore è il livello di corruzione di un'opera, grande o piccola che sia.

Monopolio da intendersi come rapporto economico e, soprattutto, come rapporto politico tra imprenditoria e decisore pubblico: monopolistica è l'appropriazione di risorse economiche, politiche e ambientali, lecita o illecita che sia; monopolistiche – o autoritarie, in senso più politico – sono le decisioni sulle grandi opere, nella maggior parte imposte alla cittadinanza scavalcando le istituzioni locali contro cui, come avviene per i “sindaci No Tav”, viene spesso schierata la repressione militare.

Un processo in cui si ricorre sempre più al “business dell'emergenza”, dove vigono scarsa trasparenza e ampia discrezionalità sul chi, dove e come realizzare l'opera e dove gli organi di controllo indipendente sono spesso presentati allo Stato dalle società vincitrici dell'appalto. Un processo in cui il monitoraggio civico è bloccato dal Segreto di Stato – come nel caso delle concessioni autostradali – e in cui a dettare le regole è, di fatto, la società monopolista, che può falsare i parametri pur di portare avanti l'affare: è, tra i tanti, il caso dei livelli occupazionali del Ponte sullo Stretto di Messina (fissati nel 2015 in 100.000 unità) forniti direttamente dal reparto lobbistico di Salini-Impregilo[3]. 

Blocchi di cemento e blocchi di potere

Si delinea così un vero e proprio «blocco politico-industriale-finanziario» che trae potere e denari dal consumo di suolo e che opera «al riparo da un vero controllo democratico»[4]. Un “Partito del Cemento” che usa i media per criminalizzare chi denuncia o si oppone ad una politica che in Italia come in Europa, America Latina e Africa risponde ad obiettivi che

brutalizzano il territorio, arricchiscono i grandi operatori economici e finanziari, generano rapporti perversi tra politica e imprese, e stringono le comunità locali nella morsa securitaria della gestione dei lavori[5]

Un “blocco” che si forma nel 1963 in opposizione alla legge urbanistica proposta da Fiorentino Sullo, all'allora ministro dei Lavori Pubblici per la Democrazia Cristiana. La legge mira ad abbassare il costo degli alloggi attraverso l'espropriazione generalizzata dei suoli edificabili necessari, da cedere a prezzi più bassi rispetto al libero mercato. Una legge che, insieme a politici fascisti e liberali – e relativa stampa di riferimento – vedrà l'opposizione della stessa Democrazia Cristiana, che abbandona legge e ministro in vista delle elezioni politiche del 28 aprile, con le quali nascerà il cosiddetto Centrosinistra. Quella legge, evidenzia oggi Tomaso Montanari, «avrebbe lasciato un'Italia diversa».

Per approfondire:

Tre anni dopo, mentre i Comuni varano i primi piani regolatori a tutela del paesaggio ambientale, archeologico e monumentale e le richieste per licenza edilizia triplicano rispetto al decennio precedente (per 8,5 milioni di vani residenziali in più nel solo 1968[6]) arriva la prima accusa di «saccheggio urbanistico»: a muoverla è Michele Martuscielli, Direttore Generale all'urbanista del Ministero dei lavori Pubblici che il ministro Giacomo Mancini (Psi) mette a capo della Commissione d'inchiesta sulla frana di Agrigento (19 luglio 1966). Sono gli anni in cui, come evidenzia l'ex sindaco di Torino Diego Novelli (1975-1985), il quotidiano “La Stampa” si schiera «a sostegno dei costruttori della speculazione più rozza», in linea di continuità con l'appoggio alla costruzione dell'Alta Velocità Torino-Lione di questi anni.

Ma sono anche gli anni in cui nascono i pilastri del “blocco”: il gruppo Benetton viene creato nel 1965, mentre pochi anni prima Pietro e “Marcellino” Gavio prendono le redini dell'omonimo gruppo, che dal commercio di cereali passa al petrolio e – grazie all'amicizia con Enrico Cuccia e Mediobanca – alle autostrade, di cui oggi i Gavio controllano 1.400 chilometri. Cuccia e Mediobancasono inoltre amicizie fondamentali anche per la nascita del controverso impero di Salvatore Ligresti – che nell'era di “Mani Pulite” viene arrestato prima per lo scandalo delle “aree d'oro” (1986) e poi per le tangenti sulla metropolitana milanese (1992). Gruppi che si aggiungono a nomi storici del settore come il Consorzio Muratori&aCementisti (Cmc) e il Consorzio Cooperative Costruzioni (Ccc), principali membri delle cosiddette “Coop rosse”.

Per approfondire:

Negli anni '60 inizia anche la storia del terzo grande player autostradale Carlo Toto, che entra nella società di famiglia (Toto Costruzioni Generali) per trasformarla negli anni in una Holding attiva anche nei trasporti e nelle energie rinnovabili, grazie anche all'amicizia con tutti i partiti dell'arco parlamentare e l'elezione del nipote Daniele a deputato (Pdl e Fli tra 2008-2013). In quello stesso decennio nascono inoltre Impregilo – che fusa dal 2014 con Salini rappresenta oggi la prima impresa italiana all'estero – e il gruppo Caltagirone, uscito formalmente dal blocco nel settembre 2017 con la vendita di Cementir al gruppo tedesco Hedelbergcement, che nel 2015 rileva Italcementi dalla famiglia Pesenti. Nel 2017 l'Antitrust multa una serie di società – tra cui Cementir e Italcementi – per aver creato un cartello volto a definire «identici aumenti nominali del prezzo del cemento».

Approfondire sul sistema di potere che ruota intorno a cemento e grandi opere meriterebbe un libro per ogni membro di un sistema di relazioni che ingloba grandi imprese, politici, tecnici di varia specializzazione, banche e, in molti casi, clan criminali; un libro che spesso viene scritto, non a caso, dalle sentenze di un tribunale.

Grandi opere, grandi tangenti, grandi...pentiti

Uno dei nodi principali di questa rete è, oggi, la figura del “General contractor” (“Contraente generale”, in italiano), istituita nel 1991 dall'allora amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Lorenzo Necci proprio per il progetto Tav Torino-Lione e ripreso dalla Legge obiettivo del 2001, che ha dato formale avvio alla "bulimia di grande opera" registrata in questi ultimi decenni: 418 opere in lista al 2016, anno della sua abrogazione. Funziona così:

lo Stato delega tutto a un consorzio di imprese private, che gestiscono direttamente i soldi pubblici: in cambio, dovrebbero assumersi tutti i rischi, tecnici e finanziari, e consegnare l'opera finita, “chiavi in mano”, al prezzo fissato. In realtà non c'è mai un progetto chiavi in mano. […]La legge prevede un'alta sorveglianza sui general contractor, che spetta all'Anas per le autostrade e all'Italferr-Rfi per la Tav, che dovrebbero controllare e approvare tutte le varianti che aumentano i costi. Ma tutta l'alta sorveglianza è finta. […]Il progetto è fatto male in partenza, così poi si devono fare le modifiche, le varianti, che portano soldi in più alle imprese[...]Se il progetto cambia, dovrebbero pagare le imprese private. Invece paga sempre la parte pubblica.

È questo il sistema che sceglie calcestruzzo di scarsa qualità (terremoti L'Aquila 2009 e Amatrice 2016) o cemento depotenziato per la costruzione di strade, ospedali, scuole e aeroporti. È questo il sistema con cui un'opera che all'estero costa 1 miliardo in Italia arriva a costarne tra i 4 e i 6 miliardi. È questo il sistema denunciato da Giampiero De Michelis, “direttore dei lavori” in molte grandi opere italiane, cioè «primo e decisivo controllore pubblico delle imprese private». Arrestato nel 2017 insieme a dirigenti di Salini-Impregilo e Condotte d'Acqua, diventa il “superpentito” dei grandi appalti pubblici per le procure di Roma e Genova, che sulle sue dichiarazioni imbastiscono l'inchiesta “Amalgama”[7] sulle tangenti per la linea ferroviaria Milano-Genova (“Terzo valico”). Nel filone genovese dell'inchiesta sono arrestati l'ex capo Struttura tecnica del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Ettore Incalza - “l'uomo che collega, come lo definisce Paolo Colonnello su La Stampa nel 2015 – e Andrea Monorchio, ex Ragioniere generale dello Stato ed ex presidente di Infrastrutture Spa, società a partecipazione pubblica creata per il finanziamento delle grandi opere.

Per approfondire:

È questo, evidenzia De Michelis ai magistrati, il sistema che grazie all'affidamento per chiamata diretta e senza gara pubblica permette di affidare i lavori ad imprese “fedelissime”, che «ripagano» affidando parti del lavoro in subappalti, consulenze o partecipazione di altre imprese nei lavori. Un sistema che dal 2001 e fino al Codice appalti del 2016 ha permesso alle stesse imprese di nominare il direttore dei lavori, cioè il loro controllore. Riporta inoltre il sito AppaltiLeaks.it

 

cosa ancor più grave – che solo le recenti (e future) inchieste della magistratura potranno (se vorranno) disvelare in tutta la gravità – è rappresentata dal fatto che per anni il “mercato” della direzione lavori dei general contractors si è incredibilmente concentrato, sotto lo sguardo tollerante e complice del committente, nelle mani di pochissimi (e sempre più ricchi) studi di ingegneria senza che i relativi incarichi fossero attribuiti sulla base della benché minima procedura ad evidenza pubblica. […] si comprende bene come sia stato possibile che pochissimi “direttori dei lavori” potessero avere così tanti incarichi contestualmente[...]

Questo sistema – riporta Alberto Vannucci in “Grandi opere contro democrazia”[8] – può contare sulla «discrezionalità dei processi di selezione dei contraenti» e sulla «strutturale inefficienza delle strutture tecniche pubbliche che dovrebbero sovrintenderne la regolarità [dell'aggiudicazione degli appalti, nda] e l'imparzialità» oltre che sulla scarsa trasparenza che rende impossibile il monitoraggio civico.

Una scarsa trasparenza che permette il sempre maggior ricorso ad una “emergenza” - o “urgenza” nelle parole del governo Conte – ormai prassi consolidata di una politica corruttibile, senza una visione sul lungo periodo e che non tiene conto delle necessità né della logica di sviluppo urbano. È così che in Italia è stato possibile costruire un albergo sotto un canalone di sfogo per frane e valanghe – l'hotel Rigopiano a Farindola, Pescara, 29 vittime di frana nel gennaio 2017 – o un palazzo che a Genova, prima di essere abbattuto nel 2013, faceva da diga al fiume Chiaravagna, aumentando il rischio di una esondazione puntualmente avvenuta nel 1992 e nel 2010. Lo stesso ponte Morandi (2018) ha visto la riduzione dei controlli – da 1.400 a 850 tra il 2011 e il 2015 – per effetto dei tagli agli stipendi dei tecnici della Direzione generale per la vigilanza, nel 2011 passati dall'Anas al Ministero delle Infrastrutture. Controlli che, riporta Fabrizio Gatti su l'Espresso, sono stati realizzati con un metodo – Sonreb-Win – noto per avere un margine d'errore dell'80%. Dove sono, in tutto questo, le «cause naturali» che giustificherebbero il crollo del ponte Morandi e delle altre grandi opere italiane?

[1 - Continua]

Note:

  1. “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” - Rapporto Ispra 2018, p.14;
  2. “Grandi opere contro democrazia” - Roberto Cuda (a cura di), Edizioni Ambiente, Milano 2017, p.13;
  3. ”La storia infinita del ponte sullo Stretto”, Stefano Lenzi, in R.Cuda, op.cit., p.83;
  4. R. Cuda, op.cit., p.11;
  5. R. Cuda, op.cit., p.5;
  6. Vezio De Lucia, Nella città dolente, Castelvecchi, 2017, Kindle Edition;
  7. Il nome dell'indagine della Procura di Roma deriva da un'intercettazione di Domenico Gallo, imprenditore in affari con De Michelis e accusato di connivenze mafiose: «Tra chi fa il lavoro, la stazione appaltante e i subappaltatori deve crearsi l'amalgama». In “Grandi opere: corruzione in corso. Così gli appalti diventano il regno delle tangenti” - l'Espresso, 29 novembre 2016;
  8. “Grande opera, grande corruzione?” Alberto Vannucci, R. Cuda, op.cit., pp.17-22;

Andrea Intonti

Questo articolo è stato pubblicato qui

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